ROMA – “Deve essere la comunità scientifica – afferma il presidente del Veneto, Luca Zaia – a certificare la possibilità” di riaprire le scuole il 10 gennaio. E sul rientro sembra essere aperto lo scontro tra i sindacati e il ministero, accusato di “sgarbo istituzionale” per non aver portato al tavolo di oggi le misure previste per il ritorno in classe. Esprimono “preoccupazione” anche i presidi che sposano la proposta delle Regioni di rivedere i protocolli sulle quarantene.
La fascia che tiene più in apprensione sia palazzo Chigi che i governatori è quella tra i 5 e gli 11 anni, quella cioè che per ultima è entrata nella campagna vaccinale. E così – è la proposta delle Regioni – alle scuole dell’infanzia si finirebbe in quarantena per sette giorni con un solo caso, mentre per le elementari e la prima media la quarantena e l’interruzione della frequenza si avrebbero se ci sono almeno due contagiati. Nel caso di un solo positivo si attiva l’autosorveglianza, con la raccomandazione di astenersi dalla frequentazione di ambienti differenti dalla scuola, senza testing. Per le scuole secondarie di primo (per i soggetti di età uguale o superiore ai 12 anni) e secondo grado, lo stop alla frequenza e la quarantena scatterebbero con un minimo di 3 casi.
L’ultima parola, ribadiscono i governatori, dovrà però essere quella del Cts che in qualche modo dovrà garantire sulla stabilità sanitaria di tali decisioni. Le questioni messe sul tavolo sembrano trovare d’accordo anche palazzo Chigi che già domani potrebbe dare il via libera alle nuove procedure. Nell’incontro di oggi tra il premier Mario Draghi e i ministri della Salute, Roberto Speranza, e dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, è stata ribadita la volontà di preservare quanto più possibile le lezioni in presenza rivedendo il numero di contagi che fa scattare la Dad per tutta la classe. Lo stesso Bianchi, durante l’incontro con i sindacati, ha sottolineato che la scuola sarà “in presenza e in sicurezza”. Parole che trovano d’accordo i presidi e un po’ meno alcune sigle sindacali, tra cui l’Anief, secondo la quale il ritorno in presenza “è folle”. “L’anno scorso – spiega il presidente, Marcello Pacifico – con una curva di contagi dieci volte inferiore si ritornava al 50% a fare la didattica a distanza. Quest’anno con i casi in crescita esponenziale decidiamo che i contatti stretti non contano più nulla”.