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“Quanno torna Vierno”. Intervista al cantautore ArSal

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Ha scelto di cantare in napoletano: ma il suo stile non è quel neomelodico mass-mediatico né la Trap dei nuovi cliché di tendenza, generi che vanno per la maggiore. E non propone alcunché di innovativo sotto il profilo musicale: possiamo affermare serenamente che Il suo è un insuccesso annunciato?

Beh sì, ad essere ottimisti… Definirei la mia scelta una ricerca introspettiva, tra emozioni sopite che riaffiorano con forza, dubbi angoscianti e intimi dolori. Musica cantautoriale? Lascio che siano gli altri ad esprimere dei giudizi sul mio conto: nel bene e soprattutto nel male. 

“Quanno torna vierno” è il titolo del primo estratto dal suo album d’esordio: Tiempo (a breve disponibile sulle principali piattaforme digitali, ndr) : nove brani, più due edit version.

Ed un unico filo conduttore, il tempo, che sottende una riflessione profonda sulla vita. Un concept album, si direbbe. Il tempo esteriore, categoria della precarietà e delle umane fragilità, delle contraddizioni feroci di una società cinica ed ipocrita, e quello interiore, metro della consapevolezza sulla fugacità e l’incertezza della nostra condizione che genera sgomento, ma anche ri-elaborazione del dolore, resilienza.  E poi l’amore, che non ha tempo, cantato in tutte le sue accezioni.

Le mie sensazioni, dopo una prima visione: gli arrangiamenti risultano molti curati, una buona scrittura in un napoletano molto forbito, (che qualcuno potrebbe però considerare antiquato) interpretazione molto intensa (che in qualche misura ripaga di tanta imperfezione canora) ed un video davvero ben girato, montato con un taglio estremamente professionale, delicato e a tratti lirico, in grado di donare qualche sprazzo gradevole di originalità. A primo impatto suggerisce una canzone d’amore, ma nel finale si comprende che il messaggio sia altro: quello di uno struggente commiato, di un sofferto e malinconico addio.

La si intenda comunque come una canzone d’amore, di un amore inteso in senso più ampio: è volontà di riconciliazione, catarsi dal dolore, desiderio commosso di riabbracciare chi ci manca in questa vita

Da dove nasce l’ispirazione?

L’idea prende forma nell’Aprile del 2020 durante la catastrofica primavera del picco pandemico: fui particolarmente colpito dalla condizione dei degenti, costretti, per le rigorose normative sanitarie, all’isolamento ospedaliero (e talora domestico) forzato: una pratica senz’altro scientifica, ma incredibilmente disumana, che ha condannato moltissimi ammalati, anche non-covid, ( e la cosa avviene ancora tutt’oggi), a trascorrere gli ultimi giorni della propria vita senza alcun conforto morale e ristoro amorevole: donne, uomini, spesso anziani, totalmente abbandonati alla propria sofferenza fisica e psicologica. Una condizione straziante non solo per i pazienti, ma anche per i loro congiunti, privati del diritto di vegliare e accudire chi amassero. Questa canzone è dunque non solo l’elaborazione di un lutto, ma anche l’intima necessità di liberarsi da quel senso di colpa che nasce dall’abbandono, seppur non volontario. Giorni angoscianti di un tempo sospeso, tra silenzi iniqui e logorante sconforto, il cui epilogo era spesso la comunicazione telefonica del sopraggiunto decesso. Ho steso i primi versi in italiano: quando ho poi deciso di trasporre in musica, le note sulla chitarra, che erano lì ad attendermi, “hanno preteso” una traduzione e rielaborazione in napoletano, lingua che avverto più efficace nella resa semantica, per musicalità ed intensità emotiva.

Vorrei concludere questa intervista con un ultimo riferimento al brano, per fornire una chiave di lettura all’ascoltatore.

Scelgo alcuni dei versi più emblematici- “Affido al vento primaverile il profumo del fiore, che per te non ho raccolto; e lascio che sia una pioggia gentile a bagnare le tue labbra, con la stessa premura che avrei, se ora io fossi al tuo capezzale. Chiudi i tuoi occhi, amore mio, e scivola via dolcemente; il frastuono insopportabile di un Mondo caotico, che confonde, atterrisce, come il baccano spaventoso dei macchinari di sala, sparirà, come d’incanto. E con esso il dolore, ed ogni tua paura.”

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