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L’Italia, dopo 20 anni, lascia l’Afghanistan: “Non bisogna sprecare i risultati ottenuti”

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Dopo venti anni l’Italia si prepara a lasciare l’Afghanistan. La missione più difficile si avvicina alla sua conclusione definitiva: oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è arrivato a Herat come simbolo della conclusione della presenza del contingente italiano.

Lì ha salutato i militari e ha presenziato alla cerimonia dell’ammaina-bandiera alla base di Camp Arena, che sarà consegnata alle forze di sicurezza locali. Una missione in cui hanno perso la vita 54 militari e circa altri 700 sono rimasti feriti tra Herat e Kabul.

«Non vogliamo che l’Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per i terroristi. Vogliamo continuare a rafforzare questo Paese dando anche continuità all’addestramento delle forze di sicurezza afghane per non disperdere i risultati ottenuti in questi 20 anni», ha detto Guerini.

Le operazioni di rimpatrio di uomini (erano 800 a inizio anno) e mezzi, avviate a maggio, si concluderanno a breve, in sintonia con l’accelerazione impressa dagli Stati Uniti, che intendono lasciare il Paese entro metà luglio, in anticipo rispetto alla data simbolica dell’11 settembre annunciata dal presidente Joe Biden.

Furono proprio gli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre lanciarono nell’ottobre del 2001 l’offensiva contro l’ Afghanistan dei talebani, diventato un “safe haven”, un rifugio sicuro per i terroristi di al Qaeda.

Alla missione Isaf, conclusa nel 2014, è subentrata nel 2015 quella “non combat” Resolute Support, sempre Nato, con l’obiettivo di formare ed assistere le forze di sicurezza locali. Le truppe Nato se ne vanno, dunque, ma non lasciano certo un Afghanistan pacificato.

Le fragili istituzioni locali, con il Governo di Ashraf Ghani, sono infatti messe in pericolo dai continui attacchi dei talebani. Che minacciano anche le migliaia di afghani che hanno lavorato (per esempio come traduttori e autisti) con le forze straniere considerate di occupazione. Senza dimenticare le azioni ostili dello Stato Islamico, nato a Mosul, in Iraq, proprio dopo il ritiro della coalizione internazionale.

Ai giornalisti italiani che erano diretti a Herat per la cerimonia, non è stato concesso il sorvolo dello spazio aereo da parte degli Emirati Arabi Uniti. Un “dispetto” nato probabilmente dai rapporti tesi tra gli Emirati e l’Italia dopo la decisione del governo del nostro Paese sull’embargo della vendita di armi dopo il bombardamento dello Yemen. Il Boeing 767 dell’Aeronautica che trasportava una quarantina di giornalisti della stampa italiana è atterrato a Dammam, in Arabia Saudita, ed è ripartito dopo un paio d’ore per Herat seguendo una rotta diversa. Nei piani di volo iniziali sembra che il passaggio nello spazio aereo emiratino fosse stato autorizzato.

Su istruzione del ministro Luigi Di Maio, il segretario generale del ministero degli Esteri, ambasciatore Ettore Sequi, ha convocato alla Farnesina l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti Omar Al Shamsi dopo aver manifestato «la sorpresa e il forte disappunto per un gesto inatteso che si fa fatica a comprendere».

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