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Maxi inchiesta Sant’Antimo: indagini chiuse su accordi tra Camorra, imprenditoria e politica

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Sono stati fatti passi avanti nell’ambito della maxi inchiesta che il giugno scorso fece tremare la città di Sant’Antimo. Sono infatti stati notificati gli avvisi nei confronti dei 108 indagati, sui quali pendevano diversi capi d’accusa: associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione elettorale, estorsione, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni, voto di scambio, armi, violenza privata, ricettazione, violazione segreto d’ufficio. Entro 20 giorni dalla notifica, gli indagati possono presentare memorie o indagini difensive oppure chiedere di essere sottoposti ad interrogatorio.

Il sistema era così organizzato: esisteva un consolidato e datato rapporto tra la famiglia Cesaro e il clan Puca di Sant’Antimo, fatto di interessi della cosca nel centro polidiagnostico ‘Igea’ e nella galleria commerciale ‘Il Molino’. Questo è quanto emerge dalle indagini svolte dall’ottobre 2016 al gennaio 2019, che hanno portato ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 59 persone. Tra gli indagati figurano vari esponenti dei clan Puca, Verde e Ranucci, operanti nel comune di Sant’Antimo e i tre fratelli del senatore Luigi Cesaro: Antimo, titolare dell’Igea, finito in carcere e gli imprenditori Aniello e Raffaele, entrambi ai domiciliari. Le due società, Igea e Il Molino, risultavano essere società di fatto tra i Cesaro, formali titolari, e il capo clan Pasquale Puca. Esponenti del clan al venir meno dei pregressi accordi, compirono un attentato dinamitardo al centro diagnostico Igea, il 7 giugno 2014, ed esplosero 5 colpi di pistola all’indirizzo dell’auto di Aniello Cesaro, in sosta in un autolavaggio il 10 ottobre 2015.

Inoltre, dalle indagini è emersa una capillare campagna di voti di scambio e un’incalzante opera di compravendita di preferenze con una tariffa di 50 euro per voto a favore di candidati del centro-destra, per quanto concerne le elezioni comunali che si tennero a Sant’Antimo nel giugno 2017. Tuttavia, in quel caso a vincere fu il centro-sinistra: quindi, vista la mancata affermazione elettorale, la strategia criminosa è stata finalizzata da un lato a far decadere quanto prima la maggioranza consiliare e dall’altro a mantenere il controllo sull’ufficio tecnico del Comune. Tutto questo accadeva, perché i tre clan di Sant’Antimo, ossia Puca, Verde e Ranucci, miravano in sinergia tra loro, a mantenere il controllo sull’ufficio tecnico comunale che assicurava una lauta fonte di guadagno e potere di controllo.

 

 

 

 

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