Cronaca

Ginecologo morto a Milano: aveva debiti fino a mezzo milione di euro

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Diventa sempre più probabile l’ipotesi del suicidio per Stefano Ansaldi, il ginecologo morto a Milano pochi giorni fa.

Si indaga sul fallimento della clinica, dietro al quale si celano debiti fino a mezzo milione di euro.

Il medico di 65 anni è stato trovato morto tra le 18.01 e le 18.04 di sabato in via Mauro Macchi, all’angolo con via Scarlatti.

Il ginecologo, arrivato tre ore prima in stazione Centrale, avrebbe vagato in zona fino all’allarme dei passanti che l’hanno visto sul marciapiede con le mani premute sul collo per tamponare la letale ferita, provocata da un coltello da cucina.

L’arma è stata rinvenuta vicino al corpo, insieme alla 24 ore, che conteneva soltanto documenti d’identità e biscotti, e insieme al Rolex che era stato aperto, tolto dal polso, chiuso e posizionato a terra.

Non c’era però il telefonino di Ansaldi, che viveva e lavorava a Napoli e che non aveva comprato il biglietto del ritorno, nonostante sabato fosse una giornata di assalto ai treni e lui non avesse con sé un minimo di ricambio per un’eventuale sosta notturna in un hotel (prenotazione peraltro mai effettuata).

Sul coltello, tra l’altro, non c’erano impronte e Ansaldi indossava dei guanti in lattice. Gli investigatori hanno mappato appuntamenti programmati dal ginecologo, arrivato a Milano con una tale urgenza da spingerlo a lasciare la Campania anche se malato di Covid.

Gli investigatori stanno lavorando per esclusione, accantonando ad esempio ambiti nei quali non si delineano al momento ombre, come la stessa professione di Ansaldi. E dunque alcuni spunti nascono da incongruenze, fatti all’apparenza immotivati e di conseguenza degni d’approfondimento, come quell’assegno in bianco intestato a una società off shore maltese del quale il ginecologo aveva denunciato nel 2019 lo smarrimento. C’era la sua firma, sull’assegno, ma non l’importo, che sarebbe stato messo per iscritto dal contatto sull’isola.

L’unica altra attività economica intestata al dottor Ansaldi conduce a un tempo remoto e in un luogo ad alta densità criminale nella periferia orientale di Napoli, via Fratelli Grimm, rione Incis (zona Ponticelli).

Era un laboratorio di analisi che portava il nome del dottore ed è confluito in diverse sentenze del Tribunale fallimentare di Napoli, in quanto nel 2010 aveva accumulato quasi mezzo milione di debiti.

Era un’impresa legata alla sanità pubblica campana, convenzionata per gli esami con la Asl Napoli 1, e che di fatto fino a dieci anni fa accumulava perdite e non riscuoteva pagamenti. Un’agonia finanziaria che venne rotta nel 2012, quando la banca Unicredit chiese un decreto ingiuntivo per quasi 57 mila euro. E quando il decreto divenne esecutivo, l’ufficiale giudiziario che avrebbe dovuto notificarlo «non ha rinvenuto la società, né il legale rappresentante all’indirizzo indicato». Il fallimento fu dichiarato dai giudici nel 2015 ma il concordato s’è chiuso invece lo scorso anno. Ed è probabile che sempre a quell’attività sia legata l’altra «pendenza» che il dottor Ansaldi s’era ritrovato nella sua carriera, un’ipoteca legale iscritta da Equitalia nel 2014 per altri 77 mila euro.

Anche se al momento non è possibile ipotizzare legami diretti tra quelle vicende economico giudiziarie e l’omicidio, è vero dall’altra parte che sarà necessario verificare che tipo di passaggi e transazioni di denaro siano avvenuti nelle pieghe dei bilanci di quella società rimasta per anni una scatola inattiva, pur se «attaccata» alla sanità pubblica, e se esista qualche connessione con l’assegno «maltese» scomparso.

E soprattutto bisognerà verificare se all’interno di questo scenario finanziario possa configurarsi il movente di un omicidio, compatibile con i particolari che i carabinieri stanno raccogliendo dalla strada, nell’infinito lavoro che va dai tabulati di quel cellulare sparito ai video delle telecamere private e pubbliche.

[Foto: Fanpage]

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