Quando sei ad un passo da lei puoi solo fare due cose: tentare di scappare più lontano che puoi, finché puoi, oppure accoglierla. Tanti come lui, non reggono più una condizione ormai al culmine dell’esasperazione. Tanti, magari malati, hanno intenzione di farla finita prima. A loro la morte non fa paura, è il suo tragitto che mette ansia. In quei casi dove è lento e doloroso è davvero una continua lacerazione per l’animo.
Anche Antonio avrà pensato questo, morire oggi per terminare di soffrire domani. Purtroppo, come ha anche ammesso il Garante dei detenuti della Regione Campania, questi episodi sono una sconfitta per tutti.
Antonio ha scelto la seconda via, forse l’unica in quel momento per lui. Farla finita e suicidarsi. Il carcere non è questo, si sta trafigurando un concetto assolutamente sbagliato. Carcere significa punizione, reintegrazione, purificazione, liberazione (paradossalmente). È in quattro mura che si può e si deve far conto con noi stessi, con quell’ ego che ha superato i limiti concessi ed è sfociato nell’illegalità e negli orrori. La mente va curata non portata allo sfinimento. Non ci sono alibi, se vogliamo che tante persone (perché non dimentichiamo che sono pur sempre persone) vengano “punite” bisogna metterli di fronte alle loro coscienze e renderli consapevoli dei loro errori, solo così potremmo vivere in una società migliore e non regredire nel passato. Tanti anni fa abbiamo rifiutato la pena di morte (direi giustamente), ma non facciamo sì che i detenuti possano rendersi giudici di se stessi e darsi da soli la triste sentenza.