La Guardia di Finanza di Palermo, nell’ambito dell’operazione “All in“, ha dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 10 soggetti, di cui 5 in carcere e 3 sottoposti agli arresti domiciliari nell’ambito di un’indagine sulle ingerenze della mafia sulle concessioni statali del gioco e delle scommesse.
Il Gip ha disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale 8 imprese, con sedi tra Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse; 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.
Una vera “impresa mafiosa”, per gli inquirenti, poichè le attività sequestrate erano strategicamente dirette da soggetti appartenenti direttamente a “Cosa Nostra” e finanziate da risorse economiche illecite.
Associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso. Sono queste le accuse alle quali devono rispondere gli otto arrestati nell’ambito del blitz dei finanzieri del locale Comando provinciale di Palermo contro la mafia e il business delle scommesse.
L’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha svelato gli interessi dei clan nel settore dei giochi e delle scommesse sportive e la complicità di alcuni imprenditori che avrebbero riciclato il denaro sporco per conto dei boss. Personaggi chiave dell’inchiesta sono l’imprenditore Francesco Paolo Maniscalco, in passato condannato per mafia ed esponente della “famiglia” di Palermo Centro, e Salvatore Rubino che per conto dei clan avrebbe riciclato il denaro.
La rete di agenzie scommesse e di corner gestiti dalle imprese vicine alla mafia si sarebbe ampliata grazie ai clan di Porta Nuova e Pagliarelli. Coinvolti nell’affare anche i “mandamenti” della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria Di Gesù e Belmonte Mezzagno e San Lorenzo, che avrebbero dato l’ok per l’apertura di centri scommesse nei loro territori. Le operazioni economiche sarebbero state pianificate nel corso di summit a cui avrebbero partecipato anche i massimi vertici del mandamento di Pagliarelli: Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, arrestati nei mesi scorsi.
Negli anni, grazie alla loro “abilità imprenditoriale” e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza alla mafia”, gli indagati avrebbero acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese, formalmente intestate a prestanome compiacenti come Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo, che nel tempo sono arrivate a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.