Chi possiede un cane potrebbe sviluppare, in caso di contagio, una forma meno aggressiva del Coronavirus. La stessa situazione potrebbe verificarsi anche per le persone che sono quotidianamente a contatto con i bovini.
Al momento si tratta solo di un’ipotesi elaborata da un team di ricerca italiano guidato dagli scienziati dell’Università “Magna Græcia” di Catanzaro, che collaborano con i colleghi del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli Studi di Milano, del Dipartimento di Scienze Biotecnologiche di Base, Cliniche Intensivologiche e Perioperatorie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Dipartimento Scienze di Laboratorio e Infettivologiche presso la Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS.
Questa ipotesi si fonda su una valida ragione: la somiglianza genetica tra la proteina S (Spike) del SARS-CoV-2 e quella del Coronavirus respiratorio dei cani.
La professoressa Paola Roncada, docente del Dipartimento di Scienze della Salute dell’ateneo calabrese, afferma:
“Gli epitopi immunoreattivi del Coronavirus SARS-CoV-2 (Spike o spicole che circondano il pericapside, involucro esterno, dei virus ndr) presentano un’elevata omologia con porzioni di proteine immunogeniche coinvolte nell’eziopatogenesi di alcuni coronavirus animali tassonomicamente correlati a SARS-CoV-2”.
Data tale somiglianza, il sistema immunitario dei padroni dei cani sarebbe in grado di intercettare meglio il nuovo patogeno e attuare le difese.