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Incendio Caivano. Le domande che nessuno ha fatto e che spaventano ecoimprenditori e istituzioni

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CAIVANO – Era poco prima di ora di pranzo, dalla Zona industriale di Caivano comincia a sollevarsi una nube di fumo. Mi reco per primo sul posto e trovo l’inferno, accendo le telecamere e comincio a filmare in diretta. Non avevo neanche fatto caso che tipo di azienda stesse bruciando, all’inizio mi arrivavano notizie frastagliate, un’azienda di imballaggi, è materiale plastico quello che brucia, la mia attenzione era focalizzata sulla scena apocalittica a cui stavo assistendo, fiamme alte trenta metri e fumo oltre i cento.

All’improvviso mi giro e vedo l’insegna “Di Gennaro SpA”, un flash mi riporta indietro di poche settimane, a San Vitaliano. L’azienda è simile, la “Di Gennaro SpA” è l’azienda che stocca i rifiuti da raccolta differenziata, carta cartone e plastica. Da sempre la “Di Gennaro SpA” fa da tramite tra i vari comuni della zona – anche quello di Caivano – e i consorzi. In poche parole l’azienda pascarolese paga gli enti comunali per quello che raccoglie e ne guadagna conferendoli ai vari consorzi dopo averli selezionati e impacchettati.

Il quadro mi era chiaro, lo scenario che si prospettava era identico a quello di San Vitaliano, fino a quando non si pone davanti alle telecamere Di Gennaro in persona, il titolare che ci rassicura sulla sicurezza e ci comunica che resta a disposizione della stampa per qualsiasi chiarimento ma non in quel preciso istante visto lo shock che ha dovuto subire. In realtà era molto pallido in viso e oggettivamente sconcertato dall’accaduto. Ho cominciato a pensare a quelle che sarebbero potute essere le reali cause. Ma c’era qualcosa che nella mia mente non tornava e intanto continuavo a riprendere le scene apocalittiche dinanzi a me. Per forza maggiore ad ora di pranzo son dovuto rientrare e nel pomeriggio sono ritornato sul posto.

Lo scenario era completamente cambiato, fiamme quasi domate e all’esterno un via vai di tir con bilici a seguito, che caricavano balle di plastica stoccata per portarla chissà dove. Cominciano a pervadermi di nuovo i dubbi e mentre mi si consentiva di riprendere tutto in diretta per svariate decine di minuti, per strana coincidenza dopo che comincio a fare domande, anche suggerite dagli spettatori – sempre in diretta – dopo pochi minuti vengo aggredito da due energumeni che prima mi intimano di spegnere la telecamera e poi mi aggrediscono fisicamente rompendomi smartphone e stabilizzatore, il tutto davanti agli occhi di un inerte brigadiere dei Carabinieri, che non solo non ferma i due aggressori come legge vuole, ma permette anche ai due di continuare a bullizzarmi.

Quali erano queste domande eventualmente scomode? Semplici domande alle quali la stampa locale e non, o non ha saputo formulare o non ha voluto formulare! Che ci facevano quei tir nel piazzale fuori l’azienda? Perché tutta quella fretta di spostare quelle balle di plastica, ma soprattutto che tipo di rifiuto c’era in quelle balle? Siamo sicuri che quelli erano i mezzi idonei a trasportare quel tipo di rifiuto? Siamo sicuri che quel tipo di rifiuto potesse viaggiare in quel modo? Ma soprattutto, dove andavano quelle balle? In che modo venivano conferite? Chi guidava quei tir era autorizzato a trasportare quel tipo di rifiuto? Sono convinto che in una situazione contingente come quella la prima cosa da fare sia quella di pensare prima alla sicurezza e allontanare quel tipo di imballaggio dalle fiamme, ma nel contempo non ci auguriamo neanche che quell’occasione faccia l’uomo ladro! Diceva un noto politico ormai defunto: “A pensar male si fa peccato, ma tante volte ci si azzecca!”

A bocce ferme poi, il quadro comincia a prendere anche una sua consistenza, facendo sempre l’avvocato del diavolo e amante della verità continuo a porre altre domande: Premesso che un sito del genere ha un limite annuo consentito per legge di stoccaggio differenziato, siamo sicuri che ad incendio spento riusciremo poi a fare la conta di tutto il materiale – combusto e caricato sui tir – che era presente all’interno dell’azienda senza attenerci alle documentazioni, visto che quelle siamo sicuri che siano messe apposto? Abbiamo od avevamo realmente sotto controllo la situazione di quello che avveniva nel piazzale esterno, quel pomeriggio? Sappiamo in realtà quante balle sono state caricate sui tir per andare chissà dove? Ecco, queste ed altre sono le domande alle quali dovranno dare risposta gli ecoimprenditori e le istituzioni. Sono le stesse domande che per paura o perché facenti parte di un sistema che va dai giornalisti che vengono assunti come responsabili della comunicazione e continuano a scrivere per testate nazionali alle elargizioni benefiche degli addetti ai lavori, nessun organo di stampa ha avuto l’ardire di porre. Come nessun organo di stampa ha osato riportare la vicenda dell’aggressione da me subita. Tutti collusi o assuefatti da un sistema che ci somministra la morte col contagocce in nome del vile denaro?

Sono sicuro che tutto è stato fatto secondo la trasparenza e nel nome della legalità ma l’aggressione da me subita no si spiega. Una vittima non attaccherebbe mai un suo simile, anzi cerca riparo, come io ho cercato riparo in quel carabiniere troppo distratto. In quell’istante mi sono sentito il nemico, colui che doveva andare via ad ogni costo, con le buone – evaporate con l’impotenza dei carabinieri di fronte ad un diritto legittimo sancito dalla Costituzione – o con le cattive. Ed è questo principio che continua a far sollevare in me tanti dubbi. Addirittura, si parla che il sito in questione, di notte è rimasto non sorvegliato, non conosco le procedure ma appare alquanto strano che si lasci solo un sito posto sotto sequestro a poche ore dall’accaduto e con le fiamme ancora vive. Quindi cosa c’è dietro? Si era fatta l’ora rosa e dovevo rincasare affinché nessuno potesse assistere al seguito?

Se consideriamo inoltre il fatto che questa azienda sia potuta essere vittima della criminalità organizzata che a sua volta sia collegata a qualche ditta che conferisce rifiuti speciali, visto che il materiale combusto subisce questa trasformazione, il dolo esterno comunque non giustifica l’aggressione fatta da dipendenti se non titolari dell’azienda stessa, ne tanto meno i viaggi che quelle balle di plastica hanno fatto. Allora cosa manca per arrivare alla verità? Questo ce lo può spiegare solo la fine delle indagini, quando gli inquirenti avranno un quadro più completo della situazione.

Una cosa è certa, gli inquirenti sono da soli e non possono indagare e attenersi sui dati che chi è preposto a rilevare ha emesso. L’Arpac attraverso un comunicato diffonde che i dati elaborati non mostrano superamenti dei valori limite per le concentrazioni di inquinanti atmosferici. La Responsabile della sicurezza, vuoi per non allarmare la cittadinanza, vuoi per coprire la propria azienda, dichiara che quello che brucia è solo carta a dispetto del fumo nero – oggettivamente visibile – e quello che dice l’ASL che nel verbale del sopralluogo effettuato scrive che l’incendio ha interessato materiale in plastica. Quindi in tutto questo bailamme meglio non tenere conto di nessuno e andare avanti a naso. Ed è proprio nel momento in cui si genera caos che la criminalità organizzata regna sovrana.

Ad oggi assistiamo ad una serie di eventi irrisolti proprio grazie alla costituzione indotta di un sistema malato basato sulla corruzione e sull’ignoranza. Ad oggi sono poche le persone che realmente si interessano della questione ambientale e in generale del mercato dei rifiuti.

A questo sistema aggiungiamo anche la negligenza e la mancanza di una visione politica volta alla risoluzione del problema e l’inferno è servito. Ad oggi, a parte che la notizia, forse sistematicamente non ha avuto una cassa di risonanza mediatica tale da suscitare l’interesse nazionale, ma non abbiamo neanche notizie di un interessamento da parte del governo centrale, al di là delle dichiarazioni del Ministro Costa sulla sorveglianza di questi tipi di siti da parte della Prefettura. Senza andare a vedere che la corruzione aumenta laddove esiste un rapporto tra pubblico e privato e senza riuscire a percepire che un errore umano o un errore indotto dalla corruzione, su un servizio pubblico, causa danni irreparabili alla società intera. Ma per vedere tutto questo c’è bisogno di essere uomini liberi.

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