Siamo sospesi a un filo, quello della speranza che si compia, finalmente, il destino degli eletti, governare, se non altro per soddisfare la curiosità verso la nuova tendenza tutta italiana, quella di stringere accordi che siano sintonie, alleanze che siano patti e compromessi che si possano chiamare contratti.
Insomma dove non si è potuto farcela con i voti dei cittadini perché non si è raggiunta la maggioranza, si cerca di arrivarci con il vocabolario, così che la prossima sarà un a legislatura lessicale, basata sullo spunto linguistico, sulle gimcane da settimana enigmistica con tanto di quesito di Susy e rebus, con la differenza che le soluzioni non saranno pubblicate nell’ultima pagina né, tantomeno, la settimana successiva.
È tutto un vociare, gli esperti sui social -quelli della politica della porta a fianco- formulano ipotesi talmente fantasiose che non si sa se ridere o piangere.
L’umorismo degli italiani è divenuto noir di fattispecie amministrativa, basato improbabili tesi diplomatiche e di schietta accusa a tutti quelli che hanno votato diversamente.
Sempre in Italia il 33% trascritto sui social diventa maggioranza, quella che a tutti i costi vuole il suo abbronzato rappresentante alla presidenza del consiglio, trascurando un dato che gli sembra meno significativo, l’altro 67% che desidererebbe un governo diverso.
Ma ciò che conta è il rumore che si riesce a fare a suon di copia/incolla dell’ennesimo proclama elettorale del proprio beniamino, e non conta che sia di destra o di sinistra, del Movimento o di Potere al Popolo, cambia il medico, ma la ricetta è sempre la stessa -a questa mi do una pacca sulla spalla da solo-.
Un popolo osannante e bendisposto, una massa omogenea e compatta dall’una e dall’altra parte che non accetta “inciuci”, “tutti a casa” da una parte e “prima gli italiani” dall’altra, in un esplosione di luoghi comuni la cui deflagrazione produce frammenti di impossibilità tipo fisica quantistica.
Bandiere che sventolano contro vento quando la giustificazione comincia a palesarsi nei giri di parole scritti frettolosamente su uno smartphone e inviate dopo attente riflessioni filosofiche davanti a un caffè e dopo aver smadonnato per l’ennesimo immigrato che voleva lavarci il lunotto dell’auto.
Si assiste allora a una sorta di sagra della scusante, al circo delle accuse trasformate in giustificazioni, tutto per il bene del popolo, che questa classe politica di mariuli, delinquenti e cattivi, che non si sa per quale oscura ragione ci vogliono tutti alla fame, che pensano solo ai loro loschi affari -e spesso è anche vero-, ma che se poi, in fondo in fondo, allearsi con loro è l’unico modo per governare, allora si può anche chinare la testa e scrivere che c’è del buono, che non tutti i mali vengono per nuocere, che lo streaming non è poi tanto necessario, che le scie chimiche sono solo scorregge di uccelli affetti da dissenteria, dando sfogo a quella fantasia che contraddistingue gli italiani da che mondo è mondo.
Non ho mai creduto che bisognasse fare gli italiani dopo aver fatta l’Italia, chi ha messo in giro questa sciocchezza meriterebbe il giudizio grillino, quello divino no, Dio non è alla stessa altezza. L’italiano è stato creato prima dell’Italia, concepito prima dei tempi, un camaleonte del genere umano che si tramuta in politologo, allenatore di calcio, scienziato e pilota fino a esperto di Curling, all’occorrenza. Adesso è il turno dei politologi a fine campionato è già pronta la squadra degli allenatori, per il Curling bisognerà avere la pazienza di aspettare le olimpiadi invernali.
Houston, we have a problem, abbiamo un problema, e fu così che per tre lunghissimi giorni il mondo restò con il fiato sospeso per il destino dei tre astronauti bloccati nello spazio a causa dello scoppio dei serbatoi di ossigeno durante il lancio del vettore Saturno V, ovviamente si tratta di un film, Apollo 13.
We have a problem italiani, e io non vorrei restare bloccato nello spazio dell’ingovernabilità nell’attesa che qualcuno venga a salvarmi, non possiamo permetterci di restare con il fiato sospeso oltre il tempo concesso, siamo in debito di ossigeno, parlare per dar fiato alla bocca ne consuma troppo, abbiamo bisogno di silenzio.
Cito un grande, Nanni Moretti.
“Chi parla male, pensa male e vive male”, “Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”