Resta l’amaro in bocca quando non si riescono a salvare vite, si resta delusi, ci si attacca alla polemica dei soccorsi in ritardo, degli elicotteri che non volano, ai politici delle passerelle, o ogni altra cosa che possa, in qualche modo, renderci solidali con chi sta soffrendo.
E non voglio fare la solita, retorica, disputa del “domani avremo dimenticato”, del “tanto succederà di nuovo”, “intanto voi state al calduccio”.
Resta e resterà una sconfitta per ognuno di noi la morte di un altro uomo in circostanze tragiche.
Una valanga, il terremoto, il crollo di una palazzina in un interland qualsiasi, resta una tragedia che deve essere digerita per andare avanti, senza dimenticare, e non solo facendone memoria, ma assurgerla a memoriale, così che si possa pienamente rivivere per ancorare all’anima ciò che si sarebbe potuto fare per evitare.
Però ci si può sempre lucrare, con la ricostruzione, con lo sciacallaggio mediatico delle dirette televisive, attraverso l’esternazione ostentata e falsa di certi conduttori televisivi, con le vignette, quelle di Charlie Hebdo ad esempio.
Una vignetta del tutto priva di gusto, di senso, di ironia e di stimoli alla riflessione, quale sarebbe lo scopo della satira.
Non si dovrebbe speculare sui morti, tantomeno cercare di trarne fama o ricchezza, i morti, quei morti erano uomini come gli uomini che hanno disegnato quelle indegne vignette.