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Museo Lombroso, il tempio degli orrori [Gallery]

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Il museo di Psichiatria e Antropologia criminale venne inaugurato ufficialmente nel 1898, a partire dalla collezione privata riunita da Cesare Lombroso nel corso della sua vita. Come scrive lo stesso Lombroso: “Il primo nucleo della collezione era cominciato nell’esercito, dove, oltre che misurare craniologicamente migliaia di soldati, avevo accuratamente conservato dei morti i crani e i cervelli; questa collezione venni man mano crescendo,

con lo spoglio dei vecchi sepolcreti Sardi, Valtellinesi, Lucchesi, Piemontesi, fatto da me e dai miei amici di Torino e Pavia. Non passava giorno che a Pavia prima, a Pesaro e a Torino poi non cercassi di aumentare la raccolta con crani dei pazzi e dei criminali morti nei manicomi e nelle carceri”.

La collezione venne aperta al pubblico per la prima volta nel 1884, in occasione della mostra di antropologia organizzata nell’esposizione generale di Torino, ma fu solo nel 1892 che la facoltà di medicina dell’Università sabauda annunciò la decisione di voler istituire un museo di psichiatria e di criminologia, senza però eleggere ancora la collezione lombrosiana a tale rango.

Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare (Verona, 6 novembre 1835 – Torino, 19 ottobre 1909), è stato un medico, antropologo e giurista italiano, considerato uno dei padri della criminologia. Esponente del positivismo, è stato uno dei pionieri degli studi sulla criminalità, e fondatore dell’antropologia criminale, una scienza oramai ritenuta infondata. Il suo lavoro è stato fortemente influenzato dalla fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia.

Le sue teorie si basavano sul concetto del criminale per nascita, secondo cui l’origine del comportamento criminale era insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall’uomo normale in quanto dotata di anomalie e atavismi, che ne determinavano il comportamento socialmente deviante. Di conseguenza, secondo lui l’inclinazione al crimine era una patologia ereditaria e l’unico approccio utile nei confronti del criminale era quello clinico-terapeutico. Solo nell’ultima parte della sua vita Lombroso prese in considerazione anche i fattori ambientali, educativi e sociali come concorrenti a quelli fisici nella determinazione del comportamento criminale.

 

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