In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
Vi è mai capitato di essere convinti di possedere la verità?
A me si, lo confesso.
Dall’adolescenza ai miei vent’anni ero oggettivamente troppo “piena di me stessa”. E avevo guardato troppi film di Nanni Moretti.
In realtà non mi conoscevo, i miei erano soltanto deliri di onnipotenza che, per fortuna, col tempo sono andati affievolendosi e sicuramente spariranno -prima o poi.
La sensazione di essere un dio in terra ti riempie e ti svuota allo stesso tempo: riesce a creare un’immagine falsa di te stesso. Quando questo pericoloso gioco inizia, ne sei ben consapevole, poi col tempo ti abitui al punto di diventare quella falsa copia, quel simulacro, il contenitore del nulla.
Per fortuna ne sono uscita -e dovrò uscirne sempre più: l’umiltà è tutto ciò che abbiamo da imparare per cominciare a Vivere; la conoscenza di se stessi, dei propri limiti che non possono essere colmati con l’autosufficienza. Non sarà la nostra personalissima ragione a salvarci, ne la nostra razionalità da quattro soldi, non le nostre convinzioni, le nostre passioni, il nostro modo incompleto di vedere le cose. Sarà piuttosto la consapevolezza che quelle nostre ragioni, quelle nostre convinzioni e passioni sono incomplete.
L’imprevisto farà il resto: e se non ci arrabbieremo quando arriverà potremo star ben sicuri di essere sulla strada giusta.
Dico che molto spesso bisogna tirarsi indietro, per stare davanti; bisogna poter dire “rinuncio” per avere; bisogna umiliarsi per essere esaltati.
E’ una vera e propria liberazione poter dire: “non ce la faccio da solo”.
-S.cat