POLITICA

L’estate sta finendo anche per la politica Caivanese

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La vacanza è sacrosanta, le ferie sono un’istituzione che obbliga i lavoratori a goderne e i datori di lavoro a concederne un “tot” all’anno.
La premessa mi serve per evitare insulti dopo aver letto questo articolo.
Tutti, quindi, siamo costretti dalla legge a spiaggiarci o a trasformarci in montanari improvvisati per più o meno un mese, tutto compreso, perfino balli di gruppo ed escursioni a cavallo di poveri e inconsapevoli muli che continuano a chiedersi cosa hanno fatto di male per essere trattati così.
Ovviamente in vacanza ci vanno anche i politici che, spossati dal lavoro indefesso svolto per il bene della comunità, preferiscono mete più ambite, quelle a cui nessun comune mortale può avere accesso, quei posti dove solo per guardare il panorama devi calzare le mutande di Armani e i calzini di Dolce & Gabbana, altrimenti non sei nessuno.
In città, almeno in quelle d’arte, arrivano i turisti che amano i musei e le passeggiate sul lungofiume, cenare a lume di candela in finte coreografie medioevali e godersi una buona grappa trentina alle falde del Vesuvio.
Nelle periferie, invece, resta il solito tran tran dell’afa che si accanisce sui “poveri” poveri e sui disadattati dei suburbi.
Un po’ come a Caivano, dove la macchinosa macchina amministrativa ha concepito un’estate tutta nuova, all’insegna del “fanientificio” stile messicano che obbliga chi è obbligato a restare nella terra dei fuochi a sorbirsi gratuitamente, all’ombra dei fumi tossici, la sua razione quotidiana di veleni offerta dal politico che, nel frattempo, gode il suo meritato riposo a bordo di barche extralusso e musica ad alto volume.
Hanno il pollice verde e il culo di acciaio queste persone, amano la Sardegna o la Sicilia, Positano con la sua fantastica scogliera da dove è possibile inveire contro chi è più ricco di loro, l’incontaminata costa della Calabria che, poco ci manca, il mare potrebbe diventare invisibile da un momento all’altro tanto è trasparente.
Hanno il pollice verde e lasciano che l’erba cresca liberamente per le strade Caivanesi, davanti al Castello dove, se si vuole, si può raddoppiare la dose giornaliera di veleni respirando la polvere dell’amianto accumulato al suo interno.
Prima di partire, però, hanno curato di organizzare lo “spasso” per i cittadini meno fortunati, una bella passeggiata nella natura incontaminata dei marciapiedi che possono essere percorsi grazie all’aiuto di maceti per farsi strada tra la folta vegetazione, un divertimento senza fine.
Non voglio fare nomi, ma tra le pagine dei Social Network c’è tanto da vedere, tanto da invidiare a questi ricconi che, chissà come, chissà perché, continuano ad essere votati dalla stessa gente a cui vengono elargiti disservizi a iosa.
In certi casi non ci si può affidare neanche alla galanteria del tempo, a Caivano sembra essersi fermato, tra voto di scambio, feste dei gigli più o meno legali, #venerdiacasami e libri comprati nel bel mezzo delle vacanze. Il paese muore a se stesso, si contorce dal dolore per le pugnalate inferte alle spalle dagli amici degli amici, gentaglia che si mangia pezzi di storia e fette di territorio.
I Caivanesi sono schiavi di loro stessi, della loro mania di attendere il contraccambio per una croce sulla scheda elettorale, per un sussidio da pezzenti, per un gradino in più e una multa in meno.
Poveri illusi che attendono il miracolo della guarigione dopo la morte.
Noi attendiamo il ritorno di quelli che, sfumata l’euforia dei bagordi, richiederanno indietro quello che gli è stato tolto per il tempo delle elezioni, una segreteria di partito del PD, ad esempio.

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