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Perchè Minformo?

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Mi sono chiesto quale potesse essere l’utilità di un ennesimo rotocalco locale, ho cercato di darmi una risposta guardandomi intorno, nel panorama confuso del giornalismo “paesano” e ci ho trovato il niente. Spesso un ammasso di parole lanciate sulla carta, come dadi sul tavolo di un casinò, con la speranza che il caso formuli la giusta combinazione.
E niente succede, se non il risultato di avere della carta straccia gettata negli angoli dei bar, guardata con sufficienza perfino dai vecchietti che giocano a tressette tra il fumo del monopolio e le bestemmie al cristo di turno.
Un tipo di giornalismo che ricalca l’ambiente in cui sopravvive grazie a sponsor generosi o al politico che giustifica il suo far niente in qualche intervista concordata. Accade allora che il fumo dei roghi intossichi anche quel poco di buono che c’è. La terra in cui viviamo, che mai è stata ingrata, sembra ribellarsi perfino a questi venditori di miasmi insaporiti dal profumo della sagra della salsiccia e della bancarella del torrone alla festa padronale.
Un giornalismo che svuota se stesso per assoggettarsi alla pratica di un onanismo di biblica memoria.
Ci vuole altro allora.
Ci vuole la riscoperta del territorio, un’archeologia dell’esistenza. Bisogna scavare laddove si ha la sensazione che la manualità, il prodotto sincero di generose e laboriose mani, l’associazionismo disinteressato, il sapere e la cultura della zona, è stato sepolto, per riportarlo alla luce e mostrarlo a chi ha voglia di abituarsi alla bellezza.
Non abbiamo bisogno di tragedie per fare giornalismo. La descrizione della morte quale istanza di pubblicità la lasciamo agli altri, noi siamo altro; passione, competenza, talento. Molti lo vendono a prezzi stracciati, noi lo offriamo gratuitamente per informare con coscienza chi vuole prendersi un attimo di pausa dall’orrore del quotidiano.

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