La campagna non sente la guerra, la campagna è serena. I raccolti spuntano come germogli che aspirano a vivere, a crescere e poi a scoppiare di frutti. La terra è calma. Il cuore magmatico pulsa di un calore che non uccide. Quello dei signori delle guerre, invece, emette battiti dannosi, menando onde che agitano il mare, facendone tsunami. Invade villaggi, città, paesaggi antropizzati o privi della presenza umana, s’infuria colmo di morte su tutto ciò che lo stizzisce.
Ma nel silenzio dei campi non si avverte alcuna ostilità. Là dentro pare che certi incubi, siano essi siriani, americani o russi, non esistano. E davvero nei pensieri bucolici di Pan, il Dio dei campi metà capra e metà uomo, certe storture non trovano posto. Stamattina ho sentito il suo flauto suonare, l’ha sentito pure il Molosso, lui era con me, in mezzo all’erba, dentro il silenzio, e ho capito che è soltanto il cuore dell’uomo a essere soggetto a certi rapimenti diabolici.
Ho camminato fra i solchi scavati nel terreno, seminati (forse) da ortaggi. Le piantine erano piccole e tenere e non ho capito di quale tipo di frutto si trattasse. Comunque erano germogli indifesi, inermi. Allora ho pensato di essere cauto, evitando di calpestarli, e per fare pochi metri, fino a raggiungere un sentiero battuto, incolto, ciò messo più di cinque minuti. Mosè intanto cacciava lucertole che non è riuscito a prendere: sfilavano fra l’erba e si nascondevano fra i meandri della terra, oppure sotto cumuli di sassi accatastati dai contadini. S’intanavano come i perseguitati dalle cacche degli aeroplani, che quando giungono al suolo, fanno il botto …
In quel luogo alla guerra non ci pensi proprio. Lì sembra una bugia, l’odio che certi potenti hanno per se stessi, per il mondo e la vita. Sotto il cielo sereno, che sa accogliere i silenziosi, non riesci neppure a immaginare che in un altro posto lontano, diverso, alcune scimmie umane stanno coltivando belve immonde nell’anima. Le bombe sono gli sputi del disprezzo che questi hanno per l’esistenza, e sono sputi che raccontano la stupidità della loro piccola mente perversa, presuntuosa e arrogante. Quel manipolo di umanoidi intende sostituirsi a un Dio, o alla forza misteriosa che ha generato la bellezza del mondo, e chiede soltanto di esserci amica. C’è nell’anima di certi, l’antica smania illusoria di poter vivere in eterno, come gli Dei di chissà quale mostruoso culto oscuro, votato a diffondere sterminio e desolazione.
È il cuore che va corretto, cambiato, dicono i saggi di tutti i tempi e non mi sento di dargli torto. È lì che bisogna agire per avviare un processo che possa, un giorno, disinstallare per sempre l’impulso all’odio.
C’è qualcosa da dimenticare, quindi, da abbandonare, piuttosto che concetti nuovi da assimilare. Una propensione selvaggia da archiviare, obliare: quella tesa alla distruzione del proprio ambiente, delle bestie e dei propri simili. Bisogna togliere anziché mettere. Levare, e non aggiungere.
Nel frattempo ho rimesso Mosè al guinzaglio. Ignaro di tutto, sventolava una lingua felice inzuppata di saliva e di polvere, aveva il muso consumato dalla gioia. Da una gioia che se fosse presente, nella quantità di poche gocce nel cuore di tutti, avrebbe la potenza di renderci finalmente sensati.
© Andrea Auletta