E’ stato lo studio di un’èquipe italoamericana, guidata dal genetista napoletano Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia a rivelare i motivi per cui il virus sarebbe stato più “clemente” al Sud Italia, rispetto al Nord.
La distribuzione geografica in Italia di certi geni importanti per regolare la risposta immunitaria potrebbe spiegare perché alcune regioni e alcune province sono state più duramente colpite dal nuovo coronavirus rispetto ad altre: i portatori di certi geni nel proprio Dna potrebbero essere più suscettibili a sviluppare la sindrome covid.
A rivelarlo è stato un vasto studio pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences e coordinato da Antonio Giordano, dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Temple University, a Philadelphia e dell’Università di Siena.
«Questo studio potrebbe generare un importante test diagnostico per identificare i soggetti predisposti alla comparsa di sintomi più gravi in caso di infezioni virali» ha spiegato Giordano all’ANSA.
Il sistema HLA svolge un ruolo cruciale nei meccanismi di difesa immunitaria del nostro organismo. Diversi studi hanno già evidenziato una correlazione tra certe varianti geniche del sistema HLA e il grado di suscettibilità ad alcune infezioni virali.
Gli esperti hanno qui scoperto che la distribuzione geografica di due varianti geniche, 2HLA-B*44 e C*01, ricalca la distribuzione geografica del contagio. Addirittura all’interno di una stessa regione in cui la frequenza dei casi è stata molto diversa da provincia a provincia (come nel caso di Emilia Romagna e Marche) la distribuzione dei geni HLA-B*44 e C*01 nelle popolazioni locali ricalca perfettamente la frequenza del contagio: maggiore la percentuale di individui portatori dei geni HLA-B*44 e C*01 in una certa provincia, maggiore la diffusione del covid in quella provincia.
«L’identificazione di HLA permissivi o protettivi nei confronti dell’infezione da coronavirus potrebbe fornire informazioni preziose per la gestione clinica dei pazienti oltre a definire priorità nelle future campagne di vaccinazione in un modo facile ed economico» afferma Luciano Mutti, dello Sbarro Institute di Philadephia, co-primo autore dello studio.
Lo studio nasce dalla collaborazione di un gruppo multidisciplinare tra cui Pierpaolo Correale e Rita Emilena Saladino del Grand Metropolitan Hospital “Bianchi Melacrino Morelli” di Reggio Calabria; Giovanni Baglio e Pierpaolo Sileri del Ministero della Salute italiano, utilizzando i dati genetici del registro italiano donatori di midollo (IBMDR), che include circa 500.000 donatori volontari di cellule staminali emopoietiche provenienti da tutta la penisola.
In sintesi gli alleli HLA B*44 e C*01 potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione da covid-19, ed è in corso uno studio caso-controllo su pazienti di tutta Italia in cui è stata riscontrata positività all’infezione per verificare quanto è emerso dal nostro studio ecologico.
I dati svelano dunque l’esistenza di due geni che «potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione» da Sars-Cov-2, spiega Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia, professore di Patologia all’università di Siena, e che «differiscono per distribuzione nelle popolazioni delle varie regioni, con un sensibile divario Nord-Sud». Più diffusi al Settentrione, meno al Meridione.