A poche ore dalla scadenza della presentazione dei candidati, il Pd tenta l’accordo con De Magistris per le elezioni suppletive. Da qualche giorno si susseguono incontri e telefonate fra i vari vertici. Zingarettiani e arancioni. Tutti insieme appassionatamente. Da un lato i vertici democrat, dall’altro il deus ex machina di Palazzo San Giacomo. Attilio Auricchio. Sempre lui. Ancora lui. L’uomo ombra del sindaco napoletano. Sfumato l’accordo col M5S, la sete di poltrone si tinge di arancione. Del resto, per chi non lo sapesse, la candidatura di Annamaria Palmieri, fedelissima dell’ex pm in giunta dal 2011, sul piano politico è stata una vera e propria provocazione lanciata al Pd per trovare la sintesi. Niente di più, niente di meno. Ma parliamoci chiaro. Pure le pietre sanno che De Magistris, un sindaco sul viale del tramonto, sta cercando sponde fra i grillini (ormai in caduta libera) ed il partito di Zingaretti. L’obiettivo è scontato. Salvarsi politicamente. Anche se la frittata è fatta. Proprio così. Nelle ultime ore, qualora ci fosse bisogno di rimarcarlo, De Magistris dimostra l’ennesimo dato di debolezza. Ostaggio dei suoi stessi errori. Un passaggio che solo gli scienziati del Pd non potevano cogliere.
Nessuno si è ancora chiesto perché il primo cittadino di Napoli non abbia espresso prima di tutti la candidatura in un collegio uninominale, e quindi votando col sistema maggioritario, nella città in cui è sindaco in carica da quasi 10 anni. Molto semplice. Perché teme il giudizio degli elettori. Teme una bocciatura senza precedenti. Pure perché solitamente le elezioni suppletive rappresentano un test per verificare lo stato di salute di un partito. Quindi in uno scenario del genere (una domanda molto semplice) De Magistris è un valore aggiunto o una zavorra in un’alleanza? La risposta è semplicissima. Pure un bambino la capirebbe. Capitolo Pd. Qui casca l’asino. E cadono pure le braccia. La vergogna non conosce fine. Due mesi fa l’opposizione consiliare presentò una mozione di sfiducia all’ex pm. Il risultato, diciamocela tutta, era scontato. I dissidenti arancioni non avrebbero mai spedito a casa De Magistris. Nemmeno sotto tortura. Ma fu un modo, a bocce ferme, per mettere al centro della discussione politica i grandi problemi della città. A firmare il documento “anti De Magistris” fu pure il Pd. Capitanato da Diego Venanzoni, da sempre fiero oppositore del disastro arancione. Avete capito bene. Il manicomio totale. Com’è possibile che due mesi fa si produceva un atto contro il sindaco ed oggi si tratta un’alleanza con lui per un posto al Senato? Ma credono davvero che gli elettori siano così stupidi? Così sciocchi da votare qualsiasi cosa a qualsiasi costo?
Avversari di di mattina e amici di sera. Il mondo al contrario. Nessun sussulto di dignità, nessuna presa di posizione dal partito napoletano. Nessuna critica. Niente di niente. Zero assoluto. Dal 2011 il Pd non arriva nemmeno al ballottaggio. Collezionando una serie di figuracce impressionanti. Una dietro l’altra. Ma non è tutto. Qual è la posizione del neo segretario Marco Sarracino, da sempre critico verso De Magistris? Anche qui mistero della fede. Nessuno sa niente. Nessuna novità all’orizzonte. Qual è la regia che muove i fili? In un sol colpo si mortifica storia e credibilità. Distruggendo il lavoro svolto in consiglio comunale, al netto dei vari giudizi, dai banchi dell’opposizione. Se il Pd si consegna a De Magistris, lo dica chiaramente e pubblicamente. Senza le strettoie segrete che hanno impoverito la politica. L’ennesimo disastro è servito. Applausi a notte fonda. Auguri.