Il M5S senza una linea. O meglio, non l’ha mai avuta. Dopo il netto rifiuto all’alleanza col Pd alle Regionali, Di Maio corre ai ripari ed ipotizza il candidato civico in Umbria (l’imprenditore Brunello Cucinelli?). Un’ipotesi possibile a patto che il partito di Zingaretti elimini il simbolo. Niente di più agghiacciante. Una “toppa a colori” che conferma la totale assenza di una proposta politica che nobiliti il governo giallorosso. Ed invece no. L’ordine di scuderia è fin troppo chiaro. Mettersi insieme. Salvare capre e cavoli pur di non regalare altre Regioni alla Lega. Zero programmi. Zero idee. Zero argomenti. Un patto nel nome della poltrona che ha spinto Renzi fuori dal Pd. Dal suo canto, il messaggio del senatore di Scandicci, che ufficializzerà il suo movimento alla prossima Leopolda, è fin troppo chiaro. Portare un valore aggiunto (e soprattutto diverso) all’asse pentadem e mantenere la propria identità. Senza correre il rischio di essere “mischiati” nelle diatribe quotidiane fra grillini e democrat.
Chi invece non vede l’ora che l’accordo Pd-M5S si tramuti in realtà in Campania in vista delle prossime elezioni regionali nel 2020 è Luigi De Magistris. Il peggior sindaco della storia di Napoli, sfumato il sogno del voto anticipato che lo avrebbe visto candidato col Pd al Senato nel collegio uninominale di San Carlo all’Arena, non ha alternative. E’ da anni senza partito ed ha collezionato una serie di fallimenti impressionanti durante il suo mandato. L’indice di gradimento in città è ai minimi storici. Conscio del vento a sfavore, l’ex pm tenta l’ultima spiaggia. La carta della disperazione. La consiliatura partenopea scadrà nel 2021. Ma la legge in questo caso impone al primo cittadino di dimettersi 6 mesi prima delle elezioni regionali. Facendo due conti, De Magistris dovrebbe dimettersi a novembre. Esattamente fra un mese e mezzo. Al netto delle dichiarazioni di facciata, in cui il primo cittadino ha sottolineato di restare in carica fino alla scadenza naturale, la candidatura a governatore resta un passaggio quasi obbligato. L’unico modo per non scomparire politicamente. Del resto, il sindaco napoletano governa col Pd a Città Mteropolitana nonostante il partito sia all’opposizione in consiglio comunale. Al di là della storia. Al di là delle figuracce. Al di là di tutto. Vergogna. Vergogna Vergogna. Candidare l’ex eurodeputato a guida del cartello pentadem significa mettere a nudo una serie di fatti (e di fallimenti) noti pure ai bambini. Primo passaggio. De Magistris ha fallito sul campo.
Dalla questione irrisolta di Bagnoli alla situazione finanziaria del Municipio. Dalla raccolta differenziata alle stese della camorra. Passando per il collasso dei trasporti pubblici. La lista sarebbe lunga. A tal punto da renderlo impresentabile per qualsiasi competizione elettorale. In altre parole, De Magistris rappresenta l’unico tentativo per non perdere poltrone e stipendi. Superando le tante figuracce napoletane di questi anni. La sintesi “sballata” fra due partiti che rischiano l’harakiri e che gli elettori boccerebbero senza se e senza ma. Pure perché il Pd, qualora qualcuno se ne fosse dimenticato, ha già il candidato in casa. E si chiama Vincenzo De Luca. L’ex sindaco di Salerno è il governatore uscente. Politica vuole che sia lui il candidato naturale.
Metterlo in discussione nel nome dell’accozzaglia “salva stipendi” significa suicidio (politico) assicurato. Ma non è tutto. Il capo della giunta campana, storicamente ostile al M5S, ha dimostrato di saper dialogare con altre forze politiche di diversa estrazione. Il rapporto col Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’ok sull’autonomia differenziata, ne sono una conferma schiacciante. E qui arriviamo al secondo passaggio. Se si sceglie De Magistris, che fine fa De Luca? Fonti interne al consiglio regionale sostengono che l’ex primo cittadino possa ugualmente candidarsi sostenuto dai suoi fedelissimi a capo di una mini coalizione civica. Con l’obiettivo di togliere consensi all’ammucchiata Pd-M5S. L’ala renziana guidata da Mario Casillo, capogruppo dem in Regione, ed il deputato Lello Topo non aspettano altro. Nel nome di un idillio mai sbocciato fra i due esponenti democrat e l’attuale Presidente della Regione Campania. Oppure, ipotesi mai smentita, potrebbero seguire Renzi nel suo nuovo movimento politico rimanendo nel Pd. Cosa si fa per sopravvivere. Il “patto della pagnotta” è ben servito. Elettori permettendo.