ROMA – Significativo l’atteggiamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri al termine delle consultazioni. A tratti ha fatto capire che il risultato ottenuto nelle dichiarazioni in conferenza stampa all’uscita di ogni singolo gruppo politico non è stato quello che egli stesso si aspettava in base ai colloqui avuti pochi minuti prima.
Infatti da indiscrezioni raccolte pare che alla fine delle consultazioni, ossia quando il Presidente della Repubblica ha chiesto le famose due ore per deliberare, era già tutto pronto all’avvio di un mandato per un governo giallorosso ma le dichiarazioni di Di Maio, quando ha dettato il suo decalogo, opportunamente preparato e redatto prima che entrasse da Mattarella abbia fatto saltare i piani. Forse, complice del mezzo passo indietro di Di Maio, è stata l’apertura di Salvini ad un governo del “fare” se alcuni “no” dei pentastellati diventassero “si”.
Pensandoci bene, in realtà, la mossa di Di Maio ha fatto saltare l’accordo già fatto ma ha fatto guadagnare tempo e credibilità al M5S. Uno perché così il capo politico di Pomigliano può vantare il fatto che in realtà non c’è mai stato accordo col PD prima della sfiducia presentata da Salvini e quindi facendo decadere le accuse del Ministro degli Interni fa salire il proprio peso contrattuale su entrambi i lati, mantenendo di fatto aperta la politica dei due forni.
Una cosa è certa! Se Di Maio all’uscita dalla stanza delle consultazioni avesse fatto una piccola apertura in direzione PD, chiudendo di fatto il forno “Lega”, forse ci sarebbe stata una buona occasione per far sì che il capo dello Stato affidasse a lui il compito di formare l’esecutivo. Con questo nuovo scenario diventa improbabile poiché i bene informati fanno sapere che a questo punto Zingaretti, seppur aprendo ad una trattativa sul taglio dei parlamentari, non si fida più del capo politico pentastellato e da qui sono cominciati ad uscire fuori alcuni nomi per trovare la sintesi di un ipotetico governo giallorosso.
C’è chi parla di Marta Cartabia che potrebbe essere la prima donna della storia italiana a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio, ella è stata nominata giudice costituzionale nel 2011 da Giorgio Napolitano e dal 12 novembre del 2014 è vicepresidente della Corte Costituzionale. Laureata con lode in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano nel 1987, Cartabia ha insegnato in numerosi atenei, in Italia e all’estero e dal 2004 è professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Prima di diventare giudice costituzionale, ha ricoperto altri ruoli istituzionali. E’ stata componente aggiunto del «Network of Independent Experts on Fundamental Rights della Commissione europea» dal 2003 al 2006, esperto italiano di «FRALEX – Fundamental Rights Agency Legal Experts» all’Agenzia europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea a Vienna dal 2008 al 2010. Dal 2017 è membro sostituto della «Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota anche come Commissione di Venezia».
Altri due nomi che potrebbero fare al caso e che vedrebbero il via libera dei due partiti sono Enrico Giovannini, economista, ex presidente dell’Istat che è stato anche ministro del lavoro, da tecnico, nel governo Letta, ma che negli ultimi anni ha visto con favore alcune delle misure che stanno a cuore al Movimento di Di Maio e Massimo Bray che fu ministro dei Beni culturali e che poi è andato a guidare l’enciclopedia Treccani. Bray, di estrazione dalemiana, è stato deputato del Pd, ma è molto considerato dai 5 Stelle. Lo stesso Davide Casaleggio l’ha voluto come ospite e relatore alla sua riunione annuale di Sum a Ivrea, in memoria del padre Gianroberto.
Decisamente profili molto più spessi rispetto al giovane pentastellato di Pomigliano che non solo possono rappresentare a pieno l’Italia nel mondo ma che non farebbero fare nessun passo indietro rispetto alla figura di Giuseppe Conte che dal suo canto riceve stima e affetto dalle alte cariche in Europa e che ben presto lo vedremo nelle vesti di Commissario Europeo.
Ma l’ambizione di Luigi, detto “Giggino” Di Maio si sa è grande e oggi più che mai attuale. Nessuno può levargli il tarlo dalla testa. La stessa ambizione che l’ha portato ad allearsi con la Lega un anno fa, forse può fargli commettere lo stesso errore. Infatti l’idea di mantenere il forno “Lega” aperto è dettata proprio dalla possibilità che, allo stato attuale, solo la Lega gli può offrire quel posto tanto agognato, ossia fare il Presidente del Consiglio.
Ovviamente, se le cose, andassero in questo senso, la Lega lo farebbe al solo scopo di continuare a risucchiare consensi ai pentastellati per dargli la mazzata finale tra qualche anno. Vi terremo aggiornati