NAPOLI – Peggio di così, si muore. Non c’è pace nemmeno per la vergogna. L’annullamento del congresso metropolitano del Pd è l’ultima figuraccia della tragedia decennale in città. Dal caos primarie alle sconfitte in terra napoletana, il partito di Zingaretti colleziona figuracce su figuracce. Silenzio tombale in casa democrat al netto di qualche timido attacco buono per i veleni. Niente di più, niente di meno. Ad alzare il polverone fu Nicola Oddati, sponsor politico del neo segretario nazionale dem in Campania e candidato alla segreteria salvo ritirarsi all’ultimo giorno per presentare il celeberrimo ricorso accolto dal Tribunale di Napoli. Oddati per ora ha avuto ragione. Punto. Ma c’è ben altro sotto il tappeto. Il partito di Zingaretti non è stato nemmeno capace di organizzare una seria partita interna. Un silenzio imbarazzante da parte di chi potrebbe e dovrebbe dare una spiegazione sul disastro democratico. Un fallimento ripetuto in tutte le salse, in tutti modi negli ultimi 10 anni.
L’annullamento del congresso pare quasi una bazzecola. Quasi non fa notizia.
Senza giri di parole, il Pd ha raggiunto il punto più basso della sua storia. Eppure pare non sia successo nulla. Come può la classe dirigente democrat, bocciata sonoramente e ripetutamente dagli elettori, ambire sogni di gloria e di governo nella terza città d’Italia se non riesce nemmeno a garantire la legittimità delle primarie interne al partito? Mistero della fede. Anzi no. I motivi esistono. Sono schiaccianti. Si ripresentano all’infinito. Primo capitolo. De Magistris resta uno dei sindaci peggiori della storia. Ma ha avuto il merito, e neanche con troppa fatica, di intercettare il voto di protesta nel 2011 e relegare il Pd all’opposizione. Dal canto suo, il partito di Zingaretti, oltre ad essere sparito dai radar, non è stato mai realmente capace di mettere in campo un’alternativa seria e credibile al governo arancione. Una puzza di consociativismo mai scomparsa negli ambienti democrat. A Città Metropolitana si rasenta il ridicolo. L’ex pm alle ultime elezioni metropolitane non riuscì ad ottenere la maggioranza in consiglio. Ricorse alle larghe intese, fortemente volute da Mario Casillo e criticate da De Luca, e strinse accordi con Pd e Forza Italia, distribuendo le deleghe ai vari consiglieri. Questione di tempi e di necessità. A Santa Maria La Nova, il partito governa col sindaco arancione dopo aver ottenuto pure deleghe strategiche sul piano politico (Trasporti su tutte). Avete capito bene. In consiglio comunale “anti De Magistris“, in consiglio metropolitano “pro De Magistris“. I risultati di tale patto? Meglio stendere un velo pietoso. Gli elettori attendono ancora una risposta in chiave politica sulla terribile anomalia venutasi a creare in città. Come sempre, tutto sotto il tappeto.
Secondo capitolo. La degenerazione delle correnti interne. Una corrente ha senso quando crea un valore, quando diventa portatrice di una proposta per migliorare la linea del partito. Un contributo serio in termini politici e culturali nei confronti della dirigenza. Nel Pd le correnti si sono trasformate in spaventosi comitati di potere. Senza la stanza dei bottoni, non si va da nessuna parte. Non c’è possibilità di scalare il partito, ammazzando il merito oltre l’opinione. Giovani in belle speranze relegati a meri portatori di voti o a semplici “portaborse” dietro il consigliere regionale o il parlamentare di turno. La peggiore logica dei cooptati. Chi oggi sta distruggendo il partito, fa orecchi da mercante. Terzo capitolo. L’eterna presenza di Bassolino. L’ex sindaco, storicamente critico verso l’attuale dirigenza dem, vuole tornare in campo. Alle primarie per la scelta del candidato sindaco arrivò a circa 400 voti da Valeria Valente, candidata ufficiale del partito.
Per il Pd fu un tracollo unico. Bassolino risultò il vero vincitore politico della competizione. Dal 2010 non aveva più ottenuto alcun incarico istituzionale. Eppure i risultati dissero altro. Ed ancora oggi non si comprendono, o forse si, i motivi per cui il Pd abbia isolato l’ex governatore quasi come se fosse un cancro da estirpare. Bassolino, al di là dell’opinione su di lui, rappresenta la storia della sinistra in Campania degli ultimi 30 anni. Condivisibile o meno. Dopo di lui, il nulla. Emarginare Bassolino significa rompere i ponti nobili col passato, quando la sinistra otteneva percentuali bulgare anche grazie all’esercito dei bassoliniani. Ovvero la grande flotta di amministratori fedelissimi dell’ex sindaco del rinascimento napoletano sparsi in tutta la regione. Un partito che si divide perfino sulla storia non guarda lontano. Pane al pane, vino al vino. O il Pd recupera territori ed identità, oppure rischia l’estinzione. Oltre l’ultima, ridicola commedia.