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Lavoro

Tre discoteche dieci chiuderanno definitivamente, Presidente SILB Pasca: “Pronti a ripartire ma l’intero settore è da ricostruire”

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ITALIA – Tre discoteche su dieci non apriranno più. Questi i dati che sono emersi dalle ultime analisi. “Contro il Covid abbiamo combattuto una guerra non armata per due anni. Ora siamo pronti a ripartire sperando che non ci siano più altre chiusure».

Lo ha dichiarato Maurizio Pasca, presidente nazionale Silb, associazione di categoria per l’intrattenimento, il quale sta coordinando l’imminente riapertura di locali e discoteche venerdì programmata per l’11 di febbraio prossimo.

Si tratta di una riapertura molto attesa a seguito della chiusura imposta dalle misure restrittive dello scorso 23 dicembre. Con l’impennata dei contagi della quarta ondata della pandemia, era stato infatti imposto l’ennesimo stop al settore dell’intrattenimento che ora però, non può permettersi altre interruzioni. Solo negli ultimi due mesi le perdite stimate sono state pari a 200 milioni di euro. Una voragine che si allarga a 4 miliardi di euro dallo scoppio della pandemia. Con il personale, 100mila lavoratori, che da due anni vivono nell’incertezza. “Siamo pronti a ripartire ma l’intero settore è da ricostruire” annuncia Pasca.

Con le 3.400 discoteche italiane, di cui 100 solo a Roma, pronte a riaccendere luci e musiche.  Secondo quanto accertato dall’associazione di categoria però, il 30 per cento non riprenderà l’attività: “Alcune aspettano la stagione estiva per riprendere a pieno ritmo – precisa – e poi ci sono quelle discoteche che non sono riuscite a superare le criticità e hanno venduto, a basso costo”. Un altro motivo di preoccupazione poichè “i locali in difficoltà sono un’ottima occasione per riciclare il denaro sporco. Le autorità competenti sanno molto bene quali sono i rischi che stiamo correndo e abbiamo più volte sottolineato la necessità di aumentare i controlli”, sottolinea Pasca.

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Lavoro

Napoli, presidio a piazza Municipio degli ex Osa Napoli Servizi

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Si sono radunati in centinaia davanti alla sede del Comune di Napoli, per manifestare, attraverso uno sciopero e un presidio pacifico, il proprio malcontento nei confronti di quello che ritengono un atteggiamento “approssimativo e discriminatorio nei confronti dei lavoratori, con conseguenze pesantissime sulla loro vita”.

L’iniziativa è stata promossa dalla Fisascat Cisl di Napoli ed ha coinvolto i dipendenti della Napoli Servizi appartenenti all’ex settore Osa.

La mobilitazione, si legge in una nota, «è stata organizzata per denunciare i motivi di conflitto verso la società partecipata del Comune di Napoli. In discussione la riorganizzazione che non prevede un piano industriale; la questione relativa alla sicurezza sul lavoro e la salute dei dipendenti messi a rischio nel passaggio delle mansioni; la presenza di un mansionario non in linea con il Ccnl e infine la delicata vicenda legata ai livelli di inquadramento inferiori e cambio orario di lavoro».

«Siamo arrivati allo stremo, ci stanno colpendo nella nostra dignità – ha detto Pietro Contemi, segretario Fisascat Cisl – l’amministrazione comunale deve prendere atto che questo management va cambiato e si debba ristabilire le regole contrattuali».

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Cronaca

Non si ferma la protesta degli OSS di Gesco: oggi sit-in in piazza Garibaldi

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Con i cori «Giù le mani dal sociale» e «Il lavoro non si tocca», questa mattina si è spostata alla Stazione Centrale di Napoli la vertenza degli operatori sociali che da due settimane sono in piazza tutti i giorni contro i licenziamenti forzati voluti dalla Asl Napoli 1 Centro per 300 operatori di un raggruppamento di cooperative sociali con capofila Gesco.

Una manifestazione pacifica che si è conclusa con un corteo che ha fiancheggiato i binari ferroviari, per spostarsi poi fuori la linea 1 della metropolitana in piazza Garibaldi
“Ad una settimana dal 31 ottobre data che vedrà definitivamente 300 operatori espulsi dal lavoro per volontà della Asl Napoli 1 Centro – ha spiegato il presidente di Gesco Giacomo Smarrazzo – ancora nessun segnale concreto ci è giunto dall’Asl”.

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Attualità

Diritto alla disconnessione, stop a mail e telefonate fuori dall’orario di lavoro

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La proposta di legge depositata alla Camera da un gruppo di parlamentari del Pd mira a definire il diritto alla disconnessione anche in Italia.
Il progetto di legge definisce come comunicazione “qualsiasi forma di contatto tra datori di lavoro e lavoratori o tra lavoratori effettuata tramite telefono, mail, servizi di messaggistica istantanea o piattaforme di collaborazione”.

Inoltre viene rimarcato il diritto a non ricevere comunicazioni fuori dall’orario di lavoro e, in ogni caso, per un periodo minimo di dodici ore dalla fine del turno lavorativo. In caso di urgenze il lavoratore è tenuto a leggere le comunicazioni e ad adempiere ai propri obblighi solo alla ripresa dell’orario lavorativo.

Secondo il progetto di legge, inoltre, dovrebbero essere i datori di lavoro a dover fornire gli strumenti digitali, con i relativi costi di gestione a carico, nelle imprese con più di quindici dipendenti dove le comunicazioni di servizio e la prestazione lavorativa avvengono prevalentemente attraverso strumenti digitali.

Ma chi ne beneficerebbe? Oltre a tutti coloro che non hanno il diritto definito dal proprio contratto, ne beneficerebbero anche lavoratori autonomi e professionisti: a questo proposito ordini e associazioni professionali sarebbero tenuti ad adeguare i propri codici deontologici entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Il primo firmatario di questa proposta di legge, Arturo Scotto, ha dichiarato: “È un diritto di ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice poter chiudere al termine del turno il proprio rapporto con il lavoro, perché nessuno può vedere sacrificato il proprio tempo di vita sulla base esclusivamente del volere del datore di lavoro”.

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