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Napoli, il cinema Metropolitan chiude i battenti: addio ad un pezzo di storia

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Quella di ieri è stata una giornata storica per Napoli, visto che dopo oltre mezzo secolo chiude i battenti il cinema Metropolitan di via Chiaia 149, con le lettere di licenziamento ai lavoratori già partite.

Le famiglie Caccavale e Grispello, oltre alla proprietà dei locali, ossia Intesa Sanpaolo, hanno investito oltre un milione di euro nell’attività, ma non sono bastati. Anche il deputato Francesco Emilio Borrelli si sta muovendo sulla vicenda, chiedendo un’informativa al ministro della Cultura Alessandro Giuli, il solo insieme al sindaco di Napoli Gaetano Manfredi a poter salvare la storica attività.

Inoltre, già qualche settimana fa, il sindaco Manfredi aveva così affermato:

“Sulla destinazione d’uso dei locali, noi abbiamo le nostre prerogative urbanistiche quindi qualsiasi cosa venga fatta lì deve essere compatibile con quelli che sono i vincoli urbanistici della città e con quelle che sono le nostre volontà. È una questione che noi abbiamo già affrontato anche per altre situazioni e ho chiesto al Demanio un approfondimento. Si tratta di titoli che sono stati trascritti negli anni ’60 e negli anni ’70 che sono ormai consolidati, quindi è molto difficile che ci possa essere un cambiamento rispetto a una proprietà privata che oramai è consolidata”.

Contestualmente, arrivano le parole del deputato Francesco Emilio Borrelli:

“Ritengo inaccettabile la poca trasparenza con la quale l’istituto bancario ha condotto l’intera vicenda. Vogliamo conoscere con quali criteri sia stato aggiudicato il bando per l’assegnazione dei locali, quale sia il soggetto aggiudicatario e se lo stesso abbia fornito le necessarie garanzie per il rispetto della destinazione culturale del sito, prevista dal Decreto del Ministero della Cultura che ha inteso nel 2023 porre sulla struttura adibita a Cinema Multisala Metropolitan il vincolo di destinazione a fini culturali”.

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Tumore scambiato per dolore addominale: condannata clinica del Salernitano

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Grave episodio avvenuto presso una clinica del Salernitano, dove una donna di 35 anni affetta da dolore addominale recidivante si era recata per una visita di controllo. Fin qui nulla di strano, se non fosse che il medico della struttura abbia sottovalutato i suoi sintomi definendoli una banalità.

Poi, nei mesi successivi, il dolore si aggravò fino a richiedere un ricovero d’urgenza per gravi complicanze compressive causate da una massa tumorale. La diagnosi tardiva di liposarcoma ha reso necessario un intervento chirurgico demolitivo, che secondo i periti avrebbe potuto essere evitato.

Pertanto, il Tribunale di Nocera Inferiore ha condannato la clinica per omessa diagnosi di un liposarcoma, con un risarcimento complessivo di 170mila euro a favore della paziente.

Contestualmente arrivano le dichiarazioni dei legali dello studio Maior, che hanno assistito la donna:

“Questa sentenza ribadisce l’importanza della diligenza e della competenza del medico, il cui operato è cruciale per evitare danni spesso irreparabili ai pazienti. Il risarcimento ottenuto rappresenta un riconoscimento di giustizia per la nostra assistita”.

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Karaoke e razzismo in un locale di Firenze, il proprietario non ci sta: “Non è stato vietato di cantare in napoletano”

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Ha scatenato non poche polemiche la vicenda legata al divieto di cantare in napoletano imposto da un locale di Firenze, che nei giorni scorsi ha avuto grande risalto per la denuncia di un ragazzo beneventano.

Tuttavia è arrivata la replica del proprietario del locale, Riccardo Tarantoli, che ha così dichiarato:

“Ci hanno definiti razzisti, ma rimandiamo questa parola al mittente: probabilmente chi lo ha detto non sa neanche il significato. Nessuno gli ha vietato di cantare. Anzi, tant’è che aveva pure cantato. Nelle nostre serate bisogna però bisogna rimettersi in fila una volta esibitisi, tornando sul palco quando è il proprio turno. Ognuno può fare una sola canzone per volta, la regola è quella. Altrimenti fa un concerto”.

Poi, precisa: “Questa settimana, una ragazza di Benevento che era presente la sera del primo dell’anno ci ha scritto dicendo che ha visto cantare il ragazzo sul palco quella sera. Quindi zero balle. Il nostro è un modello che funziona ed è rispettoso di tutti, e non abbiamo intenzione di cambiarlo. Se uno dopo aver fatto una canzone ne vuol far subito un’altra non rispettando le regole, non significa razzismo. Questo ragazzo ha fatto un video e mettendoci dentro la parola razzismo è subito diventato virale. Ma i fatti andrebbero controllati e il razzismo è tutt’altra cosa. E lo dicono anche le persone che, per loro sfortuna, hanno subito razzismo durante la loro vita. Non abbiamo mai risentito questi ragazzi, ma da parte nostra continueremo a fare divertimento come abbiamo sempre fatto. E come sempre aperti a tutti, senza nessuna discriminazione”.

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Pizzaiolo napoletano arrestato in Ucraina e costretto a combattere per la Russia

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La storia che vi stiamo per raccontare è quella di Gianni Cenni, pizzaiolo napoletano di 51 anni catturato dalle forze speciali ucraine a Kharkiv, nel Donbas, che in un video sostiene di essere stato costretto a combattere per la Russia.

Infatti, nelle immagini diffuse sui social, Cenni sostiene di essere stato “mobilitato illegalmente in Russia per combattere in Ucraina e di volere tornare in Italia”.

L’uomo si è trasferito in Russia alcuni anni fa, poiché in Italia era già stato condannato due volte, di cui una per omicidio. Cenni aveva anche sostenuto di aver lavorato a Napoli nella nota pizzeria ‘La Figlia del Presidente’, informazione smentita dai titolari dell’attività.

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