Cronaca

Don Peppe Diana, condannato l’editore che lo diffamò: i particolari

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Finalmente giustizia per don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe assassinato nella sua chiesa il 19 marzo 1994, che per ben 21 anni è stato osteggiato dalla stampa, come dimostra questo titolo in prima pagina del Corriere di Caserta del 28 marzo 2003:

“Don Peppe Diana era un camorrista”.

Pertanto, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in questi giorni ha condannato per diffamazione l’editore Libra Editrice a risarcire con 100 mila euro i fratelli del parroco. Infatti, nei giorni successivi al suo assassinio, la famiglia di don Peppino denunciò quei giornali ma solo nel 2024 è arrivata la sentenza che ha condannato per diffamazione Libra Editrice e la giornalista Tina Palomba.

Si tratta di una sentenza storica, che dà giustizia alla figura del sacerdote, come scrivono gli stessi giudici:

“L’espediente di riportare nell’articolo le dichiarazioni rese dagli avvocati degli imputati nel processo per l’omicidio del Sacerdote appare un maldestro tentativo di camuffare la portata tendenziosa e diffamante delle frasi utilizzate dalla giornalista”.

Ecco quanto dichiara la sentenza:

“La gravità dell’offesa alla memoria del loro congiunto, indicato nello sprezzante titolo in prima pagina addirittura quale appartenente alla Camorra, ha costituito essa stessa una cassa di risonanza mediatica a livello nazionale, creando sgomento e incredulità nell’intera società civile. La sofferenza patita dai genitori e dai fratelli di don Diana appare devastante, in quanto ammazzato dal braccio armato della Camorra e infangato nella memoria dall’offesa più grave, senza che egli potesse difendersi”.

Tuttavia è bene mettere ordine nella vicenda, parlando anche di Maurizio Clemente, che fino al 2003 è stato editore di Corriere della Sera e Cronache di Napoli, condannato nel 2011 a 8 anni e mezzo di carcere dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il reato di estorsione a mezzo stampa. 

In pratica egli avrebbe minacciato imprenditori e politici della provincia di Caserta di pubblicare articoli diffamatori contro di loro e contro le loro attività, al fine di indurli a stipulare contratti pubblicitari o di consulenza con società da lui controllate. Tutto si fermò al primo gradi, perché in appello il reato finì in prescrizione, fino all’anno 2009, quando Maurizio e Pasquale Clemente patteggiarono una pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per concorso in bancarotta fraudolenta.

Inoltre, ogni anno, la cooperativa Libra Editrice riceve soldi pubblici del contributo all’editoria per le sue testate Cronache di Napoli e Cronache di Caserta, che nel 2022 hanno raggiunto oltre 1 milione e 250mila euro. Se si allarga il discorso agli ultimi 10 anni, la Libra Editrice ha ricevuto dallo Stato oltre 12 milioni di euro.

Secondo i giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, l’articolo dal titolo ‘Don Peppe Diana era un camorrista’, fu pubblicato sulla scia di altri scritti volti ad infangare la memoria del sacerdote, accusandolo di essere frequentatore di prostitute, pedofilo ed, appunto, custode delle armi per conto della Camorra’.

A tal proposito, nel 1999, fu mostrata in aula una fotografia trovata durante le indagini nello studio del parroco, insieme ad un’altra trentina di foto scattate durante le gite con i suoi ragazzi, amici e parrocchiani. Le foto ritraggono due donne sedute su un letto, due scout, una siciliana e una calabrese, tutti vestiti ovviamente.

Tali istantanee furono utilizzate nel giorno seguente all’udienza, il 23 giugno 1999, quando il Corriere di Caserta titolò in prima pagina: “Don Diana a letto con due donne”. Fu lo stesso carabiniere che rinvenne la foto a chiarire la posizione del parroco, poiché la foto non ritraeva nessuna posa sconcia e non aveva un significato particolare.

Tuttavia l’ipotesi del movente passionale venne scartata già nel 2001, durante la sentenza di primo grado del processo agli assassini di don Diana, dalla quale emergeva l’efferatezza e la dinamica dell’omicidio, che poteva avere soltanto una matrice mafiosa.

In conclusione, è bene citare una frase che don Diana amava ripetere: “A voi le pistole, a noi la parola”. Perciò, con questa condanna al giornale che lo diffamò, si è aggiunto un altro tassello al lungo restauro della sua memoria.

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