Maxi operazione condotta dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, avente ad oggetto un articolato giro di spaccio di sostanze stupefacenti fortemente radicato all’interno del contesto territoriale dei comuni di Taurianova e Rosarno.
Pertanto, risultano essere 18 gli indagati colpiti da misure cautelari, nell’ambito dell’indagine denominata ‘Perseverant’. A dare avvio alle indagini era stata la denuncia sporta dal padre di una giovane assuntrice di sostanze stupefacenti.
I successivi approfondimenti avviati nel marzo 2020 e conclusi anni dopo, hanno consentito di accertare l’esistenza di un florido mercato della droga leggera e pesante con base a Taurianova e ramificazioni a Rosarno, Platì e Gerocarne, dove avevano base i fornitori del narcotico. L’attività illecita non veniva interrotta neanche durante la pandemia Covid-19, le cui restrizioni venivano aggirate dagli indagati tramite comunicazioni effettuate online su Telegram e altre app di messaggistica, oltre alla consegna degli stupefacenti in bicicletta, direttamente presso le abitazioni degli acquirenti.
Il giro d’affari che gli investigatori hanno stimato era superiore ad un milione di euro, con gli indagati coinvolti in almeno una cinquantina di eventi delittuosi. In particolare, a incidere sulle valutazioni effettuate dal Gip di Palmi in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a loro carico, è stato il valore probatorio dei numerosi recuperi di varie sostanze stupefacenti, in primis cocaina e marijuana, realizzati dagli investigatori, con arresto in flagranza di 9 degli odierni arrestati.
Il giudice ha ritenuto di fondamentale importanza il rinvenimento di una piantagione di canapa indiana, ricavata in un bunker occultato da un capannone agricolo. Infatti, è proprio lì che gli indagati avevano meticolosamente allestito degli impianti idroponici, completi di sistemi di riscaldamento, ventilazione e illuminazione a lampade UV, destinati alla gestione di varie cultivar di canapa indiana, differenziate per il potenziale tossicomanigeno. In assenza dell’intervento dei militari dell’Arma, lo stupefacente, lavorato in dosi, avrebbe permesso agli indagati di ricavare utili non inferiore a 200.000 Euro.