“Il 27 dicembre, in tarda mattinata, mi sono recata al Pronto soccorso Ostetrico-Ginecologico del Policlinico Federico II poiché durante la notte avevo avuto forti fitte allo stomaco. Essendo al settimo mese di gravidanza, ho preferito sottopormi a un controllo, anche su consiglio della mia ginecologa (privata). Alle 13.00 circa arrivo in Pronto soccorso in compagnia del mio compagno. All’ingresso mi dicono che posso entrare solo io, così lui resta ad aspettarmi fuori. Una volta dentro, resto in attesa per più’ di mezz’ora prima di essere chiamata in una stanza dove mi chiedono nome, cognome, ed altri dati per il Triage. Firmo e ritorno nella sala di attesa dove sono pochissimi i posti a sedere. Per fortuna riesco a sedermi.
Dopo un’altra mezz’ora circa mi chiamano in una stanza dove vengo sottoposta al tampone Covid, alla misurazione dell’ossigenazione del sangue e della pressione arteriosa (un’odissea!). Dopo aver tentato per 5 volte di misurarmi la pressione senza successo, gli operatori sanitari mi dicono che il macchinario ha problemi da giorni per cui tirano fuori un apparecchio manuale (sì, quello che si utilizzava negli anni ’80!) e riescono finalmente a misurarmela. Una volta registrati i dati, mi fanno attendere nuovamente in sala d’attesa dove, questa volta, non trovo più posti a sedere liberi. Resto quindi in piedi (con la panza che mi pesa!).
Inizio a chiacchierare con una ragazza che aveva partorito al Policlinico una settimana prima, e nella notte aveva avuto forti dolori intestinali, per cui si era precipitata in Pronto soccorso per un controllo. Quel che non capivo è perché quella ragazza, arrivata prima di me, era ancora lì in attesa senza essere chiamata da nessuno, così come un’altra (che poi ho saputo aver avuto un aborto). “Le nostre situazioni – mi dice la ragazza – sono considerare non “urgenti”, la priorità la hanno le donne gravide”. “Priorità come la mia” pensavo tra me e me. “E menomale che ero considerata un’urgenza!”. Intanto una delle pazienti sedute viene chiamata così approfitto per riprendere il mio posto seduta.
Tra le priorità come la mia c’era anche un’altra ragazza che doveva sottoporsi a un parto cesareo il giorno dopo. Ci racconta che era al pronto soccorso per ripetere gli esami pre-intervento. Sì “RIPETERE” perché la sua cartella clinica era SCOMPARSA, l’avevano persa. Cose da Terzo mondo!
Tra una chiacchiera e l’altra si fanno le 15.00: la mia pancia brontolava, la piccola reclamava cibo giustamente. Non avevo avuto modo né di sgranocchiare qualcosina né di bere, e nei dintorni non c’era traccia di un bar né di qualche misero distributore automatico, per cui sono rimasta digiuna fino all’uscita. Anche perchè non volevo perdere la mia priorità. E come me, anche le mie compagne di avventura. Ad un certo punto vengo chiamata nell’unica sala visite del pronto soccorso: qui trovo una specializzanda affiancata da un medico (seppure giovanissimo). Mi chiedono il motivo per cui mi ero recata in pronto soccorso e poi mi fanno stendere sul lettino per sottopormi a un’ecografia pelvica e transvaginale. Per quest’ultima ho dovuto spogliarmi senza avere alcun tipo di privacy: l’ho fatto davanti alla scrivania del medico, e in una stanza dove poteva entrare ed uscire la qualunque. Mi sottopongo alle ecografie eseguite dalla specializzanda guidata dal medico. Dopodiché mi viene detto che la bimba sta bene ed è tutto ok, ma per sicurezza mi devono fare un tracciato per accertarsi che non abbia contrazioni in atto.
Tiro un sospiro di sollievo, e torno nuovamente in sala d’attesa dove resto per circa un’altra oretta. Dopodiché vengo condotta nella sala tracciati: l’esame dura 20 minuti, al termine del quale mi dicono di attendere fuori per avere il referto del medico. Penso: “Finalmente è finita, tra poco sarò fuori, e potrò bere e mangiare. D’altronde quanto potranno metterci per scrivere un referto e dimettermi!?”. Avverto il mio compagno e gli dico che tra non molto mi dimettono. Ma le mie speranze vengono tradite ancora una volta.