C’è anche la Campania – insieme a Calabria e Lazio – tra le regioni in cui la guardia di finanza di Reggio Calabria ha eseguito un sequestro di beni per un valore totale stimato in 40 milioni di euro. Sarebbero riconducibili, secondo gli inquirenti, a due imprenditori di Gioia Tauro indiziati di essere collusi con la cosca di ‘ndrangheta’ che fa capo alla famiglia “Piromalli-Molè”, con la quale avrebbero instaurato una alleanza “di assoluto spessore, duratura nel tempo e ben radicata”.
La figura ritenuta dagli inquirenti criminale degli imprenditori era emersa nell’ambito di un’operazione del 2021, quando vennero eseguite 23 misure cautelari e sequestri per oltre 620 milioni di euro. Per le risultanze di questa indagine i due sono stati rinviati a giudizio per il reato, tra gli altri, di associazione di stampo mafioso. In particolare, sulla base delle risultanze investigative, che dovranno comunque trovare conferma nelle successive fasi giudiziarie, le indagini avrebbero svelato un articolato sistema di frode fiscale, realizzata nel settore del commercio di prodotti petroliferi, imperniata su fittizie triangolazioni societarie, finalizzate ad evadere l’IVA e le accise, nonché sull’impiego di false dichiarazioni di intento, istituto che serve ad acquistare in regime di non imponibilità.
L’associazione avrebbe gestito secondo gli investigatori l’intera filiera della distribuzione del prodotto petrolifero, dal deposito fiscale fino ai distributori stradali finali, interponendo tra queste due estremità della catena una serie di operatori economici – imprese “cartiera” di commercio di carburante, depositi commerciali e brokers locali – con lo scopo di evadere le imposte in modo fraudolento e sistematico, attraverso l’emissione e l’utilizzo delle citate dichiarazioni di intento. Le società “cartiere” avrebbero dichiarato, fraudolentemente, di possedere tutti i requisiti richiesti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, acquistando il prodotto senza l’applicazione dell’Iva.
Il prodotto petrolifero, a seguito di meri passaggi “cartolari” tra le società coinvolte, sarebbe stato ceduto a prezzi concorrenziali ad individuati clienti, in danno, peraltro, degli onesti imprenditori del settore. Da ultimo, il sistema di ripulitura degli incassi sarebbe avvenuto anche per il tramite di famiglie di ‘ndrangheta portatrici di interessi nel settore della distribuzione dei prodotti petroliferi. In tale contesto, le risultanze emerse avrebbero evidenziato, altresì, il ruolo degli imprenditori oggetti del sequestro di oggi, “colletti bianchi” attraverso cui le consorterie riuscivano ad operare con profitto, inserendosi in un settore nevralgico, altamente remunerativo.
Attraverso una complessa e articolata attività di riscontro è stato individuato il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dei due imprenditori, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla loro capacità reddituale. Nello specifico questi i beni sequestrati: l’intero compendio aziendale di 6 imprese attive nei settori, tra gli altri, del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, della manutenzione e riparazione di containers e della locazione immobiliare di beni propri, 1 ditta individuale operante nel settore agricolo, quote di una società operante nel settore della locazione immobiliare di beni propri, 9 fabbricati, di cui 7 ubicati a Roma, 5 autovetture, 4 orologi di lusso, nonché disponibilità finanziarie, per un valore complessivamente stimato di 40 milioni di euro.