«E’ arrivato: ecco l’aggiornamento del documento delle Regioni sulla disapplicazione del vincolo di esclusività e gli indirizzi per autorizzare i professionisti, da parte delle aziende sanitarie, allo svolgimento di attività esterne. Parliamo del decreto legge 34/2023, convertito in legge n. 56 del 26 maggio 2023. Avevamo espressamente chiesto al Ministro la modifica del comma 2 del provvedimento di legge originario, che limita fortemente l’ottimale implementazione delle nuove norme sulla disapplicazione del vincolo di esclusività.
Il documento aggiornato di cui parliamo, reso pubblico nelle ultime ore, sicuramente denota dei passi in avanti e delle novità di cui non possiamo non tenere conto, ma siamo ancora lontani dalla cancellazione, indispensabile, di quei lacci e lacciuoli che limitano fortemente il raggio di azione dei professionisti, per una libera professione che, insistiamo da anni su questo argomento, rappresenta l’unica strada possibile, alla luce della grande carenza di personale, per consentire agli operatori sanitari già dipendenti del nostro SSN di supportare le Rsa e soprattutto di contribuire, da protagonisti, al rilancio della sanità territoriale. Analizzando bene le differenze tra la stesura del primo e del secondo testo, possiamo evidenziare, oltre tutto, anche dei nuovi ed evidenti cambiamenti in senso negativo, che non ci piacciono affatto».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up. «A titolo meramente indicativo, in una prima stesura del testo, le Regioni indicavano alle aziende sanitarie, in ipotesi di richiesta da parte del professionista, finalizzata ad instaurare un rapporto di dipendenza con un altro ente, di verificare in anticipo l’esistenza di tutti i presupposti, relativi alla compatibilità. Questo voleva dire che, prima di dare l’autorizzazione, l’Ente verificava opportunamente il rispetto delle previsioni di legge, anche in tema dei vincoli previsti. Una volta fatto ciò, di fronte ad une esito favorevole delle verifiche rispetto alla domanda, veniva rilasciata l’autorizzazione, ed il professionista era libero di operare in favore dei terzi interessati, ed aveva la serenità di agire, ad esempio procedendo con la stipula di un contratto in favore di una clinica privata, con previsione del relativo compenso e, soprattutto, della durata.
Nel secondo testo, quello aggiornato, viene previsto che le aziende sanitarie non solo debbano effettuare le opportune verifiche (valutazione di compatibilità) prima del rilascio dell’autorizzazione, ma tale valutazione di compatibilità, e quindi la possibilità di effettuare controlli, viene estesa anche ai periodi successivi al rilascio della stessa (fase di esecuzione della prestazione ), quindi mentre è già operativo un eventuale contratto sottoscritto dal professionista in favore di terzi.
Sembra pertanto evidente che, secondo la nuova formulazione del testo, l’azienda sanitaria possa revocare l’autorizzazione precedentemente concessa, e può farlo in qualunque momento, e tutto questo pone nuovi preoccupanti limiti, suscettibili di inficiare in maniera evidente l’attività di un professionista che magari ha firmato un contratto di dipendenza (ora consentito) con un’azienda esterna dopo essere stato regolarmente autorizzato, e che ciò nonostante, potrebbe vedersi revocata, dall’oggi al domani, l’autorizzazione precedentemente concessa dall’ente pubblico, così vedendo pregiudicata la sua posizione contrattuale verso il soggetto committente privato, o trovandosi addirittura di fronte al rischio di dover pagare penalità economiche se, a causa della revoca ricevuta, non fosse più in condizione di adempiere ai propri obblighi contrattuali.
Insomma, siamo di fronte, continua De Palma, ad un testo aggiornato, che se da una parte reca alcune precisazioni di rilievo, in particolare laddove viene stigmatizzato che l’esercizio dell’attività esterna può essere negato solo in presenza di limitanti concrete, espressamente indicate dal legislatore, dall’altra esaspera i vincoli previsti dal comma 2, e soprattutto aggiunge novità negative, come quelle sopra accennate, che beninteso rappresentano solo meri esempi, di cui non possiamo non tenere conto e di cui non possiamo non informare la collettività.
Ricordiamo che la versione del testo precedente, a tutti ormai nota, tra le altre cose, già riportava una serie di indicazioni e prescrizioni molto discutibili, e che noi non condividiamo, si veda, ma solo per esempio, l’assunto secondo il quale “ il personale interessato può espletare solo prestazioni professionali al di fuori dell’azienda o enti di appartenenza, con esclusione di qualsiasi attività professionale intramoenia”. Riassumendo, ecco le novità principali del nuovo testo, rispetto ai contenuti della versione precedente che, al tempo, abbiamo già opportunamente commentato e contestato.
– Le aziende sanitarie non potranno negare l’autorizzazione senza motivi fondati ed oggettivi (questo divieto non era previsto nel testo precedente). I motivi dovranno essere esplicitati in un’adeguata motivazione, in modo di dare conto dell’esistenza dei presupposti che consentono il rifiuto ed, in generale, del rispetto dei criteri di correttezza e buona fede.
– Le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività esterna, dovranno essere definite (prima era facoltativo) in un apposito regolamento aziendale, che orienti e definisca in via preventiva, quali sono i criteri per l’autorizzazione o il diniego allo svolgimento di altra attività lavorativa.
– La valutazione di compatibilità dei rapporti professionali di dipendenza che il professionista intende instaurare all’esterno, che possono essere attivati sia con soggetti privati che con altri enti pubblici, e che nel precedente documento era prevista solo in fase autorizzativa, viene ora estesa anche alla “fase di esecuzione della prestazione”, con grave pregiudizio per le esigenze di programmazione dei singoli professionisti, i quali sotto l’alea di una possibile revoca dell’autorizzazione, ora attivabile dall’Ente in qualsiasi momento, non potranno sottoscrivere impegni contrattuali esterni per periodi predefiniti e certi, proprio a causa della precarietà del regime autorizzativo.
Certo, riconosciamo che dopo il nostro intervento sul Ministro dello scorso 4 luglio qualcosa si è mosso, ma è ancora troppo poco. E oltre tutto, a ben analizzare le differenze tra la prima e la seconda stesura, ci rendiamo anche conto che, di fronte alle poche nuove positive, nel nuovo scritto restano ancora adempimenti ed indicazioni restrittive, come ci trovassimo di fronte all’ennesimo passo del gambero. Per uno in avanti, ce ne sono ben tre indietro. E’ di tutta evidenza, infatti, che, un infermiere, o un altro professionista ex legge n 43/2006, dovrebbero poter svolgere attività libero-professionale in favore di strutture private, strutture accreditate, singoli utenti, nonché attivare un rapporto di lavoro subordinato sia con altre strutture pubbliche che private senza i limiti oggi posti, anche perché tale attività è in ogni caso soggetta ai vincoli dell’art. 2015 relativo all’obbligo di fedeltà.
Dove stiamo andando? Certo è che di questo passo, è evidente, con il rischio di dover essere costretti a rinunciare, da un momento all’altro, ad un contratto di dipendenza già sottoscritto con una azienda esterna in forza della facoltà dell’ente pubblico di effettuare una nuova valutazione di compatibilità di tale rapporto di lavoro, per noi saranno davvero tanti i professionisti che decideranno di non intraprendere la libera professione con tutte le conseguenze del caso», conclude arrabbiato De Palma.