Patrizio Oliva, medaglia d’oro nel pugilato ai giochi olimpici di Mosca nel 1980, è stato intervistato all’evento del Foglio a San Siro. Tuttavia, prima di parlare della sua vita ora, o della sua carriera da pugile, ha voluto parlare del Napoli. Una squadra che, come il pugile originario di Poggioreale nel suo passato, ha trovato la sua mentalità vincente. «Napoli è una città che si identifica nella squadra. La società ha dimostrato di essere cresciuta e con lei la sua mentalità. Programma obiettivi a lunga distanza e ha dimostrato di saperli raggiungere». Il giornalista che lo ha intervistato, ha voluto menzionare anche i problemi della città e quanto successo negli ultimi giorni di festa: «Purtroppo i luoghi comuni sono fatti così. Ogni volta che si fa qualcosa a Napoli deve essere sempre amplificato. Tutte le città hanno i loro problemi». Infine, ha parlato del pugilato di oggi e del cambiamento che anche questo sport sta vivendo.
«Si sono fatte delle scelte sbagliate nella boxe. Si è dato più spazio a quella dilettantistica anziché quella professionistica. Lo sport dilettantistico lo vedi ogni quattro anni, alle olimpiadi, ma non è una mossa corretta. I contributi del Coni arrivano attraverso i risultati della boxe dilettantistica, ma dovrebbe alimentare il professionismo per portare i ragazzi nelle palestre. Il mio primo sogno era di diventare campione del mondo e poi campione olimpico, perché quando pensi al pugile lo immagini con la canottiera». Per poi concludere dicendo: «La gente identifica un incontro di boxe come due persone che si prendono a cazzotti, ma non è così. Io dico sempre che è un incontro tra due anime che mettono la forza fisica e la forza mentale su quel ring. Ci vogliono tante componenti per renderti forte, perché servono anche l’intelligenza, il coraggio, la percezione e il movimento di gambe e di corpo. Sono tante le cose che rendono un atleta un campione».