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“Broken promise” nella narrativa putiniana. Verità o strategia?

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USA/RUSSIA «La NATO è il meccanismo per garantire la presenza degli Stati Uniti in Europa […]. Comprendiamo che non solo per l’Unione Sovietica ma anche per altri Paesi europei è importante avere garanzie che se gli Stati Uniti mantengono la loro presenza in Germania nel quadro della NATO, l’attuale giurisdizione militare della NATO non avanzerà di un pollice verso est».

Il citato passaggio fu dichiarato dal segretario di Stato americano James Baker durante un incontro con Mikhail Gorbachev nel febbraio 1990. Trattasi di una espressione fondamentale origine del mito della “broken promise” della NATO nei confronti della Russia. Il tradimento, spesse volte citato dal Cremlino in occasione delle azioni militari nel 2004 in Georgia e nel 2014 in Crimea, è stato più volte ripreso durante gli annunci dall’attuale presidente russo.

Vladimir Putin, infatti, lo aveva citato anche lo scorso 23 dicembre nella tradizionale conferenza stampa di fine anno: «ricordiamo come negli anni Novanta ci avete promesso che [la Nato] non si sarebbe spostata di un pollice a est».  Tuttavia, è bene precisare alcune fragilità della narrativa russa che assocerebbero un significato piuttosto vacillante alle dichiarazioni dell’allora segretario Baker.

Il primo punto su cui si necessita discorrere affligge l’origine stessa del presunto impegno degli Stati Uniti. Infatti, l’affermazione di Baker non trova fondamento in un trattato del diritto internazionale ma solo in una espressione verbale che, seppur fatta tra esponenti politici di altissimo livello, non ha alcun vincolo giuridico. Non si dimentichi, peraltro, come ammesso anche da Gorbachev, che la tematica del ciclo di incontri verteva esclusivamente sulla riunificazione tedesca. Dunque, non figurava tra gli scopi dei vertici Usa-Urss del 1990 il raggiungimento di alcun accordo sul futuro dell’Alleanza Atlantica.

Il secondo elemento di fragilità della narrazione putiniana chiama in causa la natura della NATO come alleanza “egemonica”, ovvero contraddistinta da rapporti di potere profondamente asimmetrici tra la potenza leader – gli Stati Uniti – e gli altri Paesi membri. Seppur parzialmente corretta, tale considerazione non include nel ragionamento un elemento fondamentale: non è la NATO a proporre il suo allargamento a eventuali nuovi Paesi membri, ma il processo è esattamente l’inverso.  Inoltre, la richiesta di membership deve essere approvata all’unanimità.

Una ultima considerazione, infine, chiama in causa il modus operandi internazionale della Russia. E” oltremodo sorprendente che un Realpolitik quale il presidente Putin si meravigli della disapplicazione di alcuni concetti a decenni di distanza dalla loro espressione. Assumendo le lenti interpretative del realismo, gli accordi tra Stati non possono essere slegati dalle condizioni materiali da cui scaturiscono. Il venir meno di queste ultime, infatti, costituisce la ragione della loro eventuale inosservanza da parte dei contraenti. 

Ricordiamo, in termini più generici, che le relazioni internazionali rispondono a delle norme giuridiche ben precise scaturenti dai c.d. Trattati del diritto internazionale. Premesso ciò, il principio pacta sunt servanda, rebus sic stantibus, esercita un peso ben specifico. La Russia, d’altro canto, non si è fatta mai scrupolo di applicarlo quando le è tornato utile. Come nel caso della stessa invasione dell’Ucraina, avvenuta in palese violazione del memorandum di Budapest del 1994 con cui Mosca si impegnò a rispettare l’integrità territoriale del Paese e ad astenersi dall’uso della forza nei suoi confronti in ragione del trasferimento del suo arsenale nucleare in Russia. Ancor meno, ha mostrato una condotta coerente con le reiterate promesse di non ricorrere all’azione militare contro Kiev espressa dai suoi vertici politici prima del 24 febbraio.

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