TORINO – L’ Eurovision Song Contest, l’evento non sportivo più guardato al mondo, ha consacrato la band Kalush Orchestra con il brano “Stefania” quale vincitore della ultima edizione. Il gruppo musicale di origini ucraine era dato già per preferito: da giorni i bookmaker puntavano su loro. Tuttavia, ciò che di certo sembrava essere meno scontato sarebbe stato il riscontro politico ed emozionale di una Europa, e non solo, che si è raccolta incontro al grido di dolore della popolazione abusata e martoriata dalle milizie russe ormai da ben tre mesi.
Il successo è stata la diretta conseguenza di un grande afflusso al televoto che ha permesso loro di raggiungere quasi il massimo dei voti conseguibili secondo quanto stabilito dal regolamento. Non di meno rilevanti, ma non determinanti, sono state le attribuzioni dei voti da parte della giuria di qualità di ciascuno dei Paese partecipanti.
Non può non essere citato inoltre il gesto del frontman che, rischiando l’eliminazione, ha lanciato un appello alla platea chiedendo aiuto per salvare Mariupol e l’acciaieria Azovstal (ritenuto poi dall’organizzazione non un messaggio politico – non consentito dal regolamento – ma umanitario).
“La squalifica era un prezzo che non avrei esitato a pagare per far passare il mio messaggio – ha detto in conferenza stampa a notte fonda il cantante e leader dei Kalush, Oleh Psjuk -. La nostra gente è bloccata nell’acciaieria e non può uscire. Bisogna liberare quelle persone e per farlo abbiamo necessità di far circolare le informazioni, di fare pressione sui politici”.