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Genocidio del Ruanda, l’indifferenza che ha ucciso un milione di persone

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RUANDA – Il 7 aprile 1994 ha inizio una delle pagine più drammatiche e sanguinose della storia dell’umanità del XX secolo, il genocidio del Ruanda.

Secondo le stime del Human Rights Watch (organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani) dal giorno di inizio dell’olocausto sino alla metà di luglio vennero massacrate nei modi più brutali almeno 500.000 persone; tuttavia, le stime sul numero delle vittime sono cresciute ed oggi si reputa che gli scomparsi siano tra gli 800.000 ed i 1.000.000.

La gran parte delle uccisioni fu tra soggetti appartenenti all’etnia tutsi, ma non mancano dati cha attestano la morte anche di molti moderati hutu e membri del gruppo etnico Twa. I massacri furono opera delle milizie estremiste degli hutu e dell’esercito regolare. Oltre il numero di certo impressionante, ciò che inorridisce e turba maggiormente è l‘efferatezza del genocidio.

Colpi di arma da fuoco, machete pangas, bastoni chiodati sono solo alcuni dei metodi utilizzati per mietere vittime. La brutalità della guerra arrivò all’utilizzo dell’HIV come arma bellica tramite violenze sessuali, con un alto tasso di sieropositività tra le donne sopravvissute.

Il genocidio principiò quando, il 6 aprile 1994, l’aereo che trasportava il presidente ruandese Juvénal Habyarimana e il presidente burundese Cyprien Ntaryamira, entrambi hutu, fu abbattuto in circostanze che rimangono irrisolte. Ma le cause del massacro affondano nella storia del paese.

Il Ruanda è una regione africana la cui storia è avvolta nell’incognita. La sua popolazione era costituita da due etnie ben precise la cui origine è sconosciuta: i Tutsi, elitè sociale ed economica, ggli Hutu, costituenti la maggioranza della popolazione, ed i Twa.

Colonia prima tedesca e poi belga, il Ruanda fu devastato da guerre di potere fra le due etnie preponderanti a partire dagli anni ’60 fino all’eliminazione di migliaia di Tutsi durante la “rivoluzione contadina degli Hutu”. Si considera che le discriminazioni razziali trovarono terreno fertile nell’ideologia del colonialismo tedesco che diede rilevanza scientifica alle differenze tra i due gruppi etnici e poi in quella belga in cui le distinzioni trovarono la loro massima espressione.

I Tutsi si rifugiarono in paesi vicini, tra cui l’Uganda formando il Fronte patriottico ruandese (FPR) che dalla fine degli anni ’80 porta a una serie di attacchi nel Paese guidato dal governo hutu di Juvénal Habyarimana. La storia politica del Ruanda indipendente è stata segnata per decenni dalla contrapposizione tra le due principali etnie del Paese, fino alla guerra civile del 1990, conclusa con gli accordi di Arusha del 1993.

La transizione prevista dagli accordi trovò però l’opposizione degli estremisti hutu, in un crescendo di propaganda anti tutsi che sarebbe culminata nelle efferatezze del genocidio, in un contesto di immobilismo della comunità internazionale, presente con la missione UNAMIR, debole per mandato, uomini e mezzi e, in seguito, dell’Operation Turquoise francese sotto egida ONU.

I terribili eventi del genocidio generarono un massiccio flusso di rifugiati, sia hutu che tutsi, che cercarono riparo in Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), Tanzania e Burundi in condizioni umanitarie estreme.

Il genocidio ruandese rimane una delle pagine più nere della storia recente, non solo per la quantità di vittime ma anche per il suo corollario di violazioni del diritto e della dignità umana. Negli anni successivi, vi furono più di 120.000 arresti. Il sistema di giustizia fu poi implementato con la costituzione, per i crimini più gravi del Tribunale penale internazionale per il Ruanda istituito nel 1994 con sede ad Arusha (Tanzania), attivo tra il 2004 e il 2015, che ha condannato 61 persone all’ergastolo.

L’istituzione della Giornata internazionale di riflessione sul genocidio del 1994 (prima Giornata internazionale di riflessione sul genocidio del 1994 contro i Tutsi in Ruanda)  il 7 aprile è stata decisa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 23 dicembre 2003 con l’adozione della risoluzione A/RES/58/234.

Oggi, dopo 28 anni dal tragico sterminio, la riflessione è più che mai doverosa soprattutto nel quadro di un periodo storico in cui la guerra è ancora una realtà ed ha preso le forme dell’invasione russa in Ucraina. Ancora una volta, viene posta una questione di fiducia sull’autorità delle organizzazioni internazionali e sovrannazionali e sulla loro capacità di intervento nei conflitti in cui maggiormente se ne chiede l’intervento. Si spera che, almeno in questa pagina della storia, né l’indifferenza né l’ingiustificata cautela prendano il sopravvento.

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