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Giustizia

Italia, l’entrata delle donne nelle cariche della Magistratura e la prima donna magistrato

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ITALIA – Poco meno di sessant’anni fa, nel 1963, con la legge 9 febbraio fu riconosciuta alla figura della donna l’entrata a pari merito degli uomini nelle cariche della Magistratura. Il testo normativo promulgato dal Governo Fanfani, cita testualmente:

“La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari.”

Un importante risultato che definì l’inizio di un epoca di emancipazione della figura femminile rispetto a quella maschile attraverso il raggiungimento di un’ndipendenza economica di fondamentale importanza ai fini della autonomia.

Il primo concorso di Magistratura aperto anche alle donne venne bandito il 3 maggio 1963: Letizia De Martino vinse il concorso, insieme ad altre otto donne.

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Cronaca

Omicidio Francesco Pio Maimone, il pm chiede l’ergastolo per l’omicida Valda

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Richiesta di ergastolo per Francesco Pio Valda, ritenuto responsabile dell’omicidio del giovane aspirante pizzaiolo Francesco Pio Maimone, la notte del 20 marzo del 2023, all’esterno degli chalet di Mergellina.

È stato il pm Antonella Fratello a chiedere il massimo della pena per il ventenne di Barra che, appena quindici giorni fa, aveva ammesso di aver fatto fuoco, ma aveva anche spiegato di aver sparato mentre scappava nel corso di una rissa.

Difeso dal penalista napoletano Antonio Iavarone, Valda aveva dichiarato di aver ascoltato la detonazione di colpi esplosi da un’altra pistola, insinuando il dubbio che ad uccidere Kekko potesse essere stato anche qualcun altro dei partecipanti alla rissa.
Una ricostruzione che al momento non troverebbe riscontri, come emerge dal fatto che oggi il pm della Procura di Napol Procura di Napol Antonella Fratello chiede il massimo della pena per il ventenne di Barra. 

(fonte: ilMattino.it)

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Cronaca

Insulti e minacce alla madre, assolto perché “il fatto non sussiste”

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Assoluzione per Giuseppe De Rosa perché “il fatto non sussiste”.

De Rosa, nato a Villaricca (Na) ma residente in quel di Casandrino, classe ’95, difeso dall’avvocato Mario Angelino, era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere nel luglio 2024 davanti al Tribunale di Napoli Nord, perché “con reiterate aggressioni fisiche e verbali, compiute quasi ogni fine settimana, per lo più sotto l’effetto di sostenza stupefacenti, rivolgeva insulti e minacce alla madre Chiariello Francesca, colpendola con spintoni e – almeno in una occasione – con una testata al capo”.

Il primo maggio 2023, il De Rosa dopo essere rincasato in piena notte, a fronte dei rimproveri della madre Francesca, dapprima le rivolgeva insulti del tipo “sei una fallita, puoi anche morire!” e poi la colpiva con testata sul capo.
Nel mese di gennaio del corrente anno, sempre in piena notte, con fare aggressivo esortava la madre a gettargli una banconota da 10 € dal balcone dell’abitazione della donna, richiesta cui quest’ultima acconsetiva per evitare che la situazione degenerasse.
Il 12 maggio 2024, la signora Chiariello veniva insultata in pubblica via, spintonandola violentemente. A farne le spese anche la sorella di Giuseppe presa a schiaffi e calci.

Sicché, Giuseppe De Rosa veniva condannato per lesioni personali da cui derivava una malattia (trauma cranico) nei confronti di Chiariello Francesca, con le aggravanti di aver commesso il fatto in occasione e del delitto di cui all’art. 572 del c.p. e nei confronti dell’ascendente.
Ma la sentenza odierna assolve Giuseppe De Rosa dai reati a lui ascritti.

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campania

Finalmente la sentenza diventa esecutiva: Addio al Castello delle Cerimonie

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Entro dicembre la struttura chiuderà definitivamente i battenti passando nelle mani del Comune di Sant’Antonio Abate, parliamo della Sonrisa, il celebre hotel e ristorante divenuto celebre come Castello delle Cerimonie.

Nonostante il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, da dicembre l’attività della famiglia Polese cesserà definitivamente. La sentenza del Tribunale è stata, infatti, resa esecutiva con l’avvio delle procedure di acquisizione al patrimonio pubblico. Giunge, così, al termine un caso giudiziario iniziato nel 2011 quando la magistratura avviò le indagini su una serie di abusi edilizi che, a partire dagli anni ’80, avrebbero interessato tutta l’area, di oltre 40 mila metri quadri.

Una sentenza divenuta definitiva lo scorso febbraio e che ha spinto la famiglia Polese a presentare una serie di ricorsi, senza però ottenere il risultato sperato. Ad oggi il Comune di Sant’Antonio Abate ha annunciato un’accelerazione alla revoca delle licenze che metterà definitivamente la parola “fine” sul Castello della nota trasmissione di Real Time.

Finalmente la sentenza diventa esecutiva, chiude un luogo simbolo di illegalità e arroganza camorristica. Basta con il trionfo della volgarità, del kitsch, del degrado culturale che i reality della vergogna hanno promosso strenuamente. La struttura del Castello delle Cerimonie venga gestita da persone oneste all’insegna della legalità e vengano garantiti i livelli occupazionali. Del resto la dinastia dei Polese offriva prevalentemente lavoro stagionale e soprattutto a parenti. Si può azzerare il progresso e ripartire con il piede giusto” – ha commentato il deputato Borrelli.

Dunque il Castello potrebbe essere demolito o trasformato in una struttura utile alla collettività (come un asilo o un centro sociale). L’alternativa è mantenere la sua natura ricettiva ma senza i Polese: ipotesi che non sembra andare giù nemmeno ai lavoratori che intendono proseguire il loro impegno nel ricordo di don Antonio.

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