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Lavoro

L’avvocatura con le spalle al muro

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NAPOLI – Sono due anni che gli avvocati vivono difficoltà di cui sembra non importare a nessuno, fatta eccezione per loro stessi e per quanti attendono sentenze che renda loro giustizia.

Causa emergenza “Covid 19”, l’intero sistema giudiziario ha subito una battuta d’arresto. Gli aiuti, per quanto insufficienti, hanno raggiunto solo pochi avvocati, molti altri,  nonostante, visti i decreti, ne avessero diritto, hanno preferito rinunciare piuttosto che impegolarsi in diatribe senza fine.

Dopo il momento di fermo, la macchina della giustizia, si è lentamente rimessa in moto. Alla lentezza, dovuta al numero ridotto, per motivi di sicurezza, di trattazione di cause per udienza, è coinciso il mancato adeguamento numerico degli operatori del settore: cancellieri e giudici. Pertanto il caos imperversa nei corridoi delle aule di giustizia. Non di rado, gli avvocati, si trovano di fronte a rinvii d’udienza, non riportate dagli appositi servizi telematici, quindi ad uscire di casa, alimentare il traffico, già sostenuto a certe ore del mattino, cercare un posto in garage costosi e spesso completi, per la beffa!

Rinvii a un anno e a volte più, nel frattempo c’è l’esborso per iscrivere a ruolo la causa, oltre le altre spese per spostamenti e parcheggi che non verranno mai considerate o rivalutate.

Si parla di tempi del giusto processo, gli avvocati sono tutti processati dal sistema inadeguato e di quanto termini tutto questo non si ha idea.

Beffa delle beffe a dicembre arriveranno, tutte in una volta, le rate, slittate per l’emergenza, da pagare alla Cassa forense, come si fosse non solo tornati alla normalità ma si fosse recuperato il perduto.

Gli avvocati tengono duro ma molti sono alle corde e chiedono con l’applomb che contraddistingue la categoria che “giustizia” sia un concetto che possa offrire garanzie anche a loro.

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Lavoro

Napoli, presidio a piazza Municipio degli ex Osa Napoli Servizi

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Si sono radunati in centinaia davanti alla sede del Comune di Napoli, per manifestare, attraverso uno sciopero e un presidio pacifico, il proprio malcontento nei confronti di quello che ritengono un atteggiamento “approssimativo e discriminatorio nei confronti dei lavoratori, con conseguenze pesantissime sulla loro vita”.

L’iniziativa è stata promossa dalla Fisascat Cisl di Napoli ed ha coinvolto i dipendenti della Napoli Servizi appartenenti all’ex settore Osa.

La mobilitazione, si legge in una nota, «è stata organizzata per denunciare i motivi di conflitto verso la società partecipata del Comune di Napoli. In discussione la riorganizzazione che non prevede un piano industriale; la questione relativa alla sicurezza sul lavoro e la salute dei dipendenti messi a rischio nel passaggio delle mansioni; la presenza di un mansionario non in linea con il Ccnl e infine la delicata vicenda legata ai livelli di inquadramento inferiori e cambio orario di lavoro».

«Siamo arrivati allo stremo, ci stanno colpendo nella nostra dignità – ha detto Pietro Contemi, segretario Fisascat Cisl – l’amministrazione comunale deve prendere atto che questo management va cambiato e si debba ristabilire le regole contrattuali».

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Cronaca

Non si ferma la protesta degli OSS di Gesco: oggi sit-in in piazza Garibaldi

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Con i cori «Giù le mani dal sociale» e «Il lavoro non si tocca», questa mattina si è spostata alla Stazione Centrale di Napoli la vertenza degli operatori sociali che da due settimane sono in piazza tutti i giorni contro i licenziamenti forzati voluti dalla Asl Napoli 1 Centro per 300 operatori di un raggruppamento di cooperative sociali con capofila Gesco.

Una manifestazione pacifica che si è conclusa con un corteo che ha fiancheggiato i binari ferroviari, per spostarsi poi fuori la linea 1 della metropolitana in piazza Garibaldi
“Ad una settimana dal 31 ottobre data che vedrà definitivamente 300 operatori espulsi dal lavoro per volontà della Asl Napoli 1 Centro – ha spiegato il presidente di Gesco Giacomo Smarrazzo – ancora nessun segnale concreto ci è giunto dall’Asl”.

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Attualità

Diritto alla disconnessione, stop a mail e telefonate fuori dall’orario di lavoro

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La proposta di legge depositata alla Camera da un gruppo di parlamentari del Pd mira a definire il diritto alla disconnessione anche in Italia.
Il progetto di legge definisce come comunicazione “qualsiasi forma di contatto tra datori di lavoro e lavoratori o tra lavoratori effettuata tramite telefono, mail, servizi di messaggistica istantanea o piattaforme di collaborazione”.

Inoltre viene rimarcato il diritto a non ricevere comunicazioni fuori dall’orario di lavoro e, in ogni caso, per un periodo minimo di dodici ore dalla fine del turno lavorativo. In caso di urgenze il lavoratore è tenuto a leggere le comunicazioni e ad adempiere ai propri obblighi solo alla ripresa dell’orario lavorativo.

Secondo il progetto di legge, inoltre, dovrebbero essere i datori di lavoro a dover fornire gli strumenti digitali, con i relativi costi di gestione a carico, nelle imprese con più di quindici dipendenti dove le comunicazioni di servizio e la prestazione lavorativa avvengono prevalentemente attraverso strumenti digitali.

Ma chi ne beneficerebbe? Oltre a tutti coloro che non hanno il diritto definito dal proprio contratto, ne beneficerebbero anche lavoratori autonomi e professionisti: a questo proposito ordini e associazioni professionali sarebbero tenuti ad adeguare i propri codici deontologici entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Il primo firmatario di questa proposta di legge, Arturo Scotto, ha dichiarato: “È un diritto di ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice poter chiudere al termine del turno il proprio rapporto con il lavoro, perché nessuno può vedere sacrificato il proprio tempo di vita sulla base esclusivamente del volere del datore di lavoro”.

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