Antonio Moccia, del Clan di Afragola, ha reinvestito il denaro illecito nella società petrolifera gestita dalla cantante Ana Bettz. Ciò ha portato a contrasti con il clan Mazzarella, risolti con la cessione di alcuni distributori di carburante.
La camorra, la ‘ndrangheta, broker internazionali, importantissime industrie estrattive estere, imprenditori locali: il calderone da centinaia di milioni di euro ricostruito dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri con l’operazione Petrolmafie Spa ha dimostrato la contiguità tra organizzazioni mafiose, colletti bianchi e settori industriali e traccia un filo che unisce Napoli, Roma e Reggio Calabria, con collegamenti anche in Sicilia.
Tra i perni dell’indagine ci sono Antonio Moccia, dell’omonima famiglia di camorra storicamente egemone ad Afragola, in provincia di Napoli, gli imprenditori calabresi Antonio e Giuseppe D’Amico, la famiglia Mancuso di Vibo Valentia e l’imprenditrice e cantante Ana Bettz, al secolo Anna Bettozzi, vedova del petroliere Sergio De Cesare.
Dalle conversazioni telefoniche è emersa anche la stipula di un contratto per uno spot pubblicitario tra Ana Bettozzi e l’attore Gabriel Garko, al secolo Dario Gabriel Oliviero, in cui parte del corrispettivo pattuito, pari a 150mila euro è stato versato in denaro contante.
L’attore, che non risulta nell’elenco indagati diffuso dalla Procura, è intercettato in una conversazione. E si lamenta della parziale difformità tra gli importi concordati come fatturabili in chiaro rispetto al quantum da corrispondere in nero.
Le parti concertano come dovrà avvenire la corresponsione del compenso pattuito pari a 250mila euro, 50mila euro già versati.
Gli inquirenti hanno ricostruito il ruolo di Moccia, ritenuto a capo di quello che viene definito uno dei clan più difficili da investigare proprio per l’abilità a riciclare denaro (si stima un giro di affari da un miliardo di euro, già reinvestito in attività economiche apparentemente del tutto in regola): il suo clan si era infiltrato nel settore approfittando dei problemi economici di una importante società petrolifera romana.
“Un soggetto capace di commettere un omicidio a sangue freddo quando era ancora minorenne. Moccia aveva intuito la possibilità di guadagno e, attraverso l’imprenditore Alberto Coppola, era entrato in contatto con Anna Bettozzi, che in quel periodo amministrava la società Max Petroli (poi diventata Made Petrol). Il clan Moccia aveva così cominciato a riciclare i soldi tramite quella società, che con quel flusso di denaro aveva generato altri profitti: nel giro di un paio di anni il fatturato si era moltiplicato di centinaia di volte” ha spiegato il generale Gabriele Failla, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Napoli.
L’accordo, però, aveva causato contrasti con gli altri clan, in special modo con quelli anche loro attivi nel settore petroli.
In particolare si era arrivati allo scontro coi Mazzarella, che in più occasioni avevano minacciato Coppola, anche sparandogli contro colpi di pistola.
“L’imprenditore chiese la protezione a Moccia si arrivò a un patto che prevedeva la cessione di alcuni distributori di benzina ai Mazzarella” ha continuato Failla.
Questa mattina sono stati eseguiti una settantina di provvedimenti cautelari a carico di indagati accusati di associazione mafiosa, riciclaggio e frode fiscale nel settore dei prodotti petroliferi, nell’operazione sono stati sequestrati beni per circa un miliardo di euro: l’inchiesta è stata condotta in collaborazione dalle procure di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro.
Nel corso dell’indagine ricosturito anche il collegamento con un rappresentante della KMG (KazMunayGas), l’industria estrattiva più importante del Kazakistan: si era incontrato a Vibo Valentia con gli imprenditori D’Amico e Luigi Mancuso, capo della ‘ndrina calabrese, accompagnato da una traduttrice con l’obiettivo di far arrivare il petrolio in Calabria. Con loro anche due broker lombardi (arrestati stanotte a Milano).
L’idea era di costruire una boa al largo del porto di Vibo Valentia per far attraccare la petroliera e far arrivare il petrolio nel deposito dei Mancuso, proposito poi saltato per l’arresto del mediatore con le accuse di omicidio e tentato omicidio. In quella circostanza, rilevano gli inquirenti, viene dimostrato ancora una volta il potere che aveva la famiglia malavitosa: Mancuso aveva detto che avrebbe fatto ritirare le licenze all’Eni in modo da utilizzare anche le loro cisterne nel porto di Lamezia Terme.