ESCLUSIVA. Gilberto Corbellini (Docente presso La Sapienza) “Stiamo reagendo alla pandemia in modo irrazionale, malgrado le altissime conoscenze scientifiche”
di Monica CARTIA
Quando potremo tornare a condurre un’esistenza normale, dopo il flagello pandemico? Come hanno affrontato i nostri antenati le grandi epidemie del passato? Di questo ed altro ho avuto il grande piacere di discutere con il professor Gilberto Corbellini, docente ordinario di storia della medicina e professore di bioetica presso l’Università La Sapienza l’Università La Sapienza. Le sue pubblicazioni spaziano dalla storia delle immunoscienze e delle neuroscienze, ai presupposti storico-epistemologici della medicina evoluzionistica.
Professore, come stiamo affrontando la pandemia del terzo millennio rispetto ai nostri antenati? Penso alle epidemie di Spagnola e di Asiatica…
E’ una situazione singolare. Le nostre società non hanno mai avuto a disposizione mezzi medico-sanitari e istituzionali così potenti come quello odierni, ma abbiamo affrontato per oltre un anno la pandemia con misure antiche, quelle cosiddette non farmacologiche (quarantena, mascherine e distanziamento fisico). Un secolo fa non si sapeva quale fosse la causa della Spagnola, mentre oggi abbiamo sequenziato il virus in circa un mese. Un secolo fa questa malattia, che è letale soprattutto per anziani e persone con certe predisposizioni, non sarebbe circolata visto che gli anziani erano molti di meno e non c’erano le terapie intensive, cioè tecnologie salvavita. Un secolo fa in meno di due anni morirono di Spagnola almeno 25 milioni di persone, mentre questo virus in quasi un anno e mezzo ne ha uccise meno di 3 milioni, ma ha messo in ginocchio intere economie causando danni ben superiori alla Spagnola. In meno della metà del tempo previsto è stato creato e distribuito un vaccino (al momento quattro), mentre per la Spagnola non ci furono cure o profilassi. Il fatto è che nelle nostre società globalizzate e avanzate, la densità della popolazione e la frequenza di contatti, le caratteristiche del virus che spesso o per un certo periodo non causa sintomi ma si trasmette, ma anche le caratteristiche della medicina, dei sistemi sanitari e della politica rendono potenzialmente devastante una minaccia relativamente grave. Abbiamo raggiunto livelli di conoscenze scientifiche e capacità tecnologiche mai esistite prima, ma stiamo reagendo alla pandemia in modi irrazionali, e sono questi modi irrazionali che stanno causando i principali problemi perché non aiutano a ridurre la diffusione dei virus e apparentemente favoriscono la sua diversificazione evolutiva.
Quanto e come il confronto quotidiano con la paura di contagiarsi condiziona la nostra psiche?
La paura è una risposta adattativa in presenza di pericolo. Tuttavia, quando la minaccia è incerta e continua, come nell’attuale pandemia, la paura può diventare cronica e gravosa. Uno studio pubblicato nell’agosto scorso per identificare le dimensioni della paura del coronavirus in un campione di soggetti, mostrava che la paura era influenzata dalla vulnerabilità psicologica individuale (cioè intolleranza all’incertezza, preoccupazione e ansia per la salute), dall’esposizione mediatica e soprattutto dall’uso dei social media e dalla rilevanza personale della minaccia infettiva (cioè salute personale, rischio per i propri cari e controllo del rischio). La salute dei propri cari, il sovraccarico dei sistemi sanitari e le conseguenze economiche della pandemia sono i principali timori di cui le persone discutono con l’avanzare della crisi.
Che cosa pensa della gestione dell’emergenza pandemica in Italia?
Si è fatto quel che si poteva, nei modi caotici o all’italiana, con la solita scarsa trasparenza e il reclutamento fra amici e affiliati politici fatti passare per esperti, un eccesso di esibizionismo narcisista di scienziati ed esperti, il diffuso atteggiamento paternalista e irriguardoso verso le libertà personali e con tutti che credono di sapere meglio degli altri cosa di dovrebbe fare. Penso che non si potesse fare di peggio, ma che non si potesse nemmeno fare di meglio, dato che noi italiani siamo quello che siamo.
L’essere umano si adatterà al Coronavirus? Il vaccino ci salverà?
Certo che ci adatteremo, con o senza vaccino. Si spera che il vaccino ci trascini fuori più rapidamente dal naufragio in cui ci troviamo. Bisogna vedere quanto tempo servirà, e questo dipende dalla velocità con cui si vaccina (che dovrebbe essere molto maggiore) da quante varianti produrrà nei prossimi mesi il virus, che caratteristiche avranno le varianti ovvero se saranno bloccate dai vaccini somministrati, quanto dura l’immunità conferita dal vaccino, etc. Gli scenari più ottimistici prevedono che questo coronavirus alla fine diventerà come altri suoi parenti che oggi causano dei banali raffreddori. Ma nulla è scontato nell’evoluzione e siamo di fronte a una dinamica molto diversa rispetto a situazioni del passato e conosciute, nel corso delle quali i coronavirus si sono indeboliti. Sarà ancora per qualche tempo un confronto incerto.