I carabinieri del Nucleo investigativo di Viterbo, hanno scoperto che a Roma, durante il lockdown del marzo scorso, quando c’era il massimo delle restrizioni necessarie a far fronte alla pandemia, per continuare a fare affari un gruppo di romeni e albanesi garantiva ai clienti prostitute e droga a domicilio. Con tanto di spacciatori camuffati dai riders.
Il particolare sistema messo in piedi da quattro indagati, ora arrestati e messi in carcere su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, è stato scovato dai militari dell’Arma indagando sulla scomparsa di una giovane di nazionalità romena.
Una vicenda su cui ha aperto un’inchiesta la Direzione distrettuale antimafia, ipotizzando alla fine i reati di riduzione in schiavitù, tentata alienazione di schiavi, tentata estorsione aggravata, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, e cessione di sostanze stupefacenti.
Le indagini sono iniziate nell’estate del 2019, ben prima della pandemia, quando una donna di origini romene ha denunciato presso la stazione carabinieri di Tuscania la scomparsa della figlia ventenne, precisando poi di aver saputo che la giovane era stata condotta dal fidanzato prima in Inghilterra e poi in Romania, da lì portata in Italia e infine fatta prostituire nella zona nord-est della capitale.
La ragazza, come hanno accertato i militari del Nucleo investigativo di Viterbo, era stata venduta dal fidanzato, per la somma di 10mila euro, a una donna, anche lei di origini rumene, che a Roma gestiva un giro di prostituzione.
La donna, per farle riscattare la somma pagata costringeva la ventenne, che ha anche un leggero deficit cognitivo, a prostituirsi in strada.
La ragazza veniva anche drogata prima di essere lasciata sul marciapiede e veniva segregata in casa.
Un cliente, innamoratosi della giovane, aveva tentato di salvarla, ma la sfruttatrice e i suoi complici avevano preteso ottomila euro per “liberarla”, minacciando anche il cliente che non voleva pagare quella somma e costringendolo alla fine a fuggire. La ragazza, solo dopo diversi mesi, era riuscita a scappare, recandosi dalla madre a Tuscania.
I carabinieri, nel corso delle indagini, hanno inoltre scoperto che la maitresse, insieme a un connazionale e a due albanesi, gestiva appunto un giro di prostituzione di giovani di origini moldave e romene.
Queste ultime, prima del lockdown, si prostituivano in via dei Prati Fiscali, e poi, scattate le chiusure, in appartamenti della capitale, pubblicizzati attraverso siti internet, o “a richiesta dei clienti a domicilio”.
Oltre al delivery del sesso, gli investigatori hanno appurato che gli indagati erano impegnati a Roma anche nello spaccio di cocaina e che avevano oltre cinquanta clienti, rifornendo quest’ultimi con consegne anche a domicilio e ricorrendo ad escamotage “come quello di utilizzare taxi oppure di spacciarsi per riders, addetti alla consegna di cibo”.
Il tutto per un volume d’affari per la prostituzione fino a 600 euro al giorno e per la droga sui 1.500 euro al giorno.