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Coronavirus. Il via libera dell’Aifa agli anticorpi monoclonali: cosa sono e come agiscono

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L’Agenzia Italiana del Farmaco ha dato il via libera a due anticorpi monoclonali per il trattamento del Covid.

Il semaforo verde è stato concesso ponendo, però, alcune condizioni e limitando l’utilizzo a una categoria limitata di pazienti, cioè stabilendo una casistica ben precisa, con malati in fase precoce e ad alto rischio di evoluzioni dell’infezione.

La Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, ha dato l’ok all’uso di due anticorpi monoclonali con alcune limitazioni al loro utilizzo in linea con quelle del Canada e dell’Fda negli Stati Uniti: potranno essere somministrati, in fase precoce, a una categoria limitata di pazienti ad alto rischio di evoluzione della malattia Covid-19.

I farmaci approvati sono quelli prodotti da Regeneron e da Eli Lilly.

I monoclonali sono ritenuti dalla comunità scientifica una grande speranza contro la pandemia di Covid.

«Un salvavita» li ha definiti il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, in un’intervista al Corriere.

L’avvio in tempi rapidi della sperimentazione dei monoclonali era auspicato anche dal presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici, Filippo Anelli, il quale aveva affermato: «si riducono le ospedalizzazioni e si migliorano i risultati clinici. Può essere una strategia per condurre a termine la campagna vaccinale in un tempo più flessibile».

I monoclonali sono farmaci impiegati già da tempo nella cura dei tumori. Negli ultimi anni sono stati usati anche contro alcune malattie infettive, come l’ebola e ora contro il Sars-CoV-2. Servono per curare chi è già malato, fornendo al paziente anticorpi già formati e immediatamente attivi contro il virus.

Ma come funzionano questi farmaci? «Bloccano, in modo molto potente, l’ingresso del virus nella cellula. L’effetto finale è la neutralizzazione dell’infettività del Sars-CoV-2 come provato da numerosi studi scientifici pubblicati su riviste prestigiose come Nature, Cell e Science» ha affermato Palù.

Un campo di ricerca molto promettente su cui hanno investito anche università di prestigio mondiale: oggi sono sei gli anticorpi in fase finale della sperimentazione o già autorizzati tra i quali il cosiddetto Trump Cocktail con cui è stato curato l’ex presidente degli Stati Uniti.

I monoclonali sono già in uso in diversi Paesi (Usa, Canada Germania, Israele e Ungheria) e lì l’approvazione italiana arriva prima di quella dell’Agenzia europea.

«Un provvedimento d’urgenza che autorizza la temporanea distribuzione dei monoclonali per i quali al momento non è stata rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte di Ema» ha spiegato ancora Palù.

Continuando «Il contributo giornaliero di vite umane pagato ancora oggi dall’Italia e la difficoltà di intravedere la possibilità di ottenere l’immunità di gregge con la somministrazione di vaccini spinge a considerare un approccio integrato di prevenzione e terapie efficaci».

I monoclonali, infatti, «riducono il rischio di ricovero del 72-83%, se presi nella fase iniziale della malattia, a 72 ore dalla comparsa dei sintomi, quando la carica virale è massima, altrimenti sono inutili». Alcuni hanno mostrato «una protezione del 70% da mortalità e/o ricovero».

Un’infusione di anticorpi monoclonali costa dai 1.000 ai 2.000 euro. Una spesa giustificata? «Basta un’unica somministrazione. Risparmieremmo sulle spese ospedaliere: un ricovero ordinario costa oltre 1.000 euro al giorno, un posto in rianimazione cinque volte di più» ha sottolineato Palù.

Inoltre, questi farmaci agiscono sulla carica virale e rendono chi li riceve incapace di infettare.

«Potrebbero essere prescritti ai pazienti che, per età o presenza di altre malattie, sono più esposti al rischio di progressione dell’infezione. Preferibilmente a quelli con sintomi lievi-moderati che vengono seguiti a domicilio. Si eviterebbero così tanti ricoveri» ha spiegato Palù, affermando poi che «Sono farmaci con un profilo di sicurezza eccellente. Il rischio di effetti collaterali gravi è praticamente sovrapponibile al placebo».

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