Il piano vaccini in Italia non poteva essere che lo specchio della nostra sanità: procede infatti ad una lentezza estrema sebbene il Paese sia secondo solo alla Germania.
E’ così che si pensa in ogni modo di accelerare il tempi, e mentre c’è chi propone di richiamare “alle armi” i medici in pensioni, il Governo ha proposto di continuare a lavorare anche di notte.
A una settimana dal V-Day del 27 dicembre, giorno in cui tutti gli Stati membri dell’Unione Europea hanno dato il via alla campagna vaccinale anti-Covid, in Italia la somministrazioni dei vaccini sembrano andare a rilento e in ordine sparso.
Delle 479.700 dosi a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale, risultano solo 118.554 iniezioni, secondo i dati del commissario straordinario, Domenico Arcuri, aggiornati a oggi, 4 gennaio.
Un quadro iniziale che desta preoccupazione e che, qualora i ritmi dovessero rimanere invariati nel tempo, non garantirebbe minimamente il rispetto del seppur generico calendario vaccinale italiano, variabile peraltro sulla base delle forniture e delle autorizzazioni da parte dell’autorità di farmacovigilanza.
Ciò che emerge più che mai da questa prima parentesi di vaccinazioni del personale sanitario e degli ospiti delle Rsa è la completa frammentazione su base regionale della sanità italiana.
Perché se da un lato a trainare in positivo la percentuale di dosi di vaccino somministrate rispetto a quelle ricevute ci sono il Lazio (48,5%), cui fa seguito la Provincia Autonoma di Trento (45,1%) e il Veneto (40,3%), dall’altro preoccupa la lentezza di molte regioni. Il caso più eclatante è certamente quello della Lombardia, che oltre ad essere la regione più colpita dalla pandemia in Italia: delle 80.595 dosi ricevute, nella regione guidata da Attilio Fontana, sono state somministrate solo 3.085 dosi, con una percentuale del 3,8%. E c’è chi è messo pure peggio, purtroppo.
Tra le regioni che in questa primissima fase risultano essere maglia nera nelle vaccinazioni troviamo il Molise (1,7%, con 50 dosi iniettate su 2.975 assegnate), la Sardegna (3,0%, con 392 vaccinazioni su 12.855 dosi ricevute), la Calabria (3,5%, con 453 dosi somministrate su 12.955 ricevute) e la Valle d’Aosta (4,4%, con 44 vaccinazioni eseguite su 995 dosi assegnate).
Le Regioni hanno spiegato che tali ritardi sono imputabili alle ferie del personale e alle carenze d’organico medico-ospedaliero, assicurando però che le vaccinazioni anti-Covid a pieno regime prenderanno il via oggi, 4 gennaio (a eccezione della Sardegna che inizierà il 7 gennaio).
Ma la tabella di marcia resta ancora poco chiara, lenta e confusa, specialmente se si pensa che queste vaccinazioni riguardano strettamente il personale medico-sanitario e gli ospiti delle Rsa. Una platea mirata e contingentata, sulla quale tuttavia non si è riusciti ad andare a tambur battente. E se i ritmi non riescono a esser incalzanti su categorie mirate e facilmente individuabili, i dubbi sulla vaccinazione di massa della popolazione non possono che emergere sempre più, anche al netto delle incognite sul “dove, come e quando” ogni persona riceverà il vaccino, ma anche “da chi e come” riceverà la chiamata per le iniezioni.
La questione che più fa scalpitare l’opinione pubblica e gli esperti è certamente quella del “quando”, proprio al netto dei primi ritardi. In tal senso, la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa si è detta “arrabbiata” per il fatto di non aver sfruttato al meglio i tempi di temporanea decompressione degli ospedali per procedere in modo spedito prima dell’arrivo dell’ormai inevitabile terza ondata.
Ma il virus corre molto velocemente, ha spiegato Zampa in un’intervista al Corriere della Sera, e l’Italia si trova in un punto estremamente cruciale nella lotta alla pandemia, ed è per questo che sul fronte vaccinale il governo sta “valutando la possibilità di turni serali, notturni e festivi di somministrazione per consentire a chi esce dal lavoro di utilizzare quelle ore“.
Insomma, una vaccinazione 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che però si scontra con due scogli non di poco conto: la carenza del personale medico-ospedaliero, progressivamente andato perduto nel corso degli ultimi decenni e la questione, non meno importante, degli spazi in cui somministrare il vaccino.
Infatti non è solo questione di tempo, tant’è c’è chi, come il professor Massimo Galli, direttore del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, lancia l’allarme in un’intervista a Il Messaggero per la carenza di personale medico-sanitario idoneo per effettuare le iniezioni, andato “rarefatto nel corso del tempo” e “allo stremo” dopo tutti questi mesi di lotta al Covid in corsia, al punto da avanzare l’ipotesi “di fare ricorso a medici e infermieri che sono andati in pensione negli ultimi quattro anni e che siano volontariamente disponibili a farsi carico diparte del lavoro e contribuire alla campagna vaccinale”.
A loro dovrebbero aggiungersi gli specializzandi di Medicina, nonché i 15 mila medici e infermieri reclutati dal bando lanciato dal commissario Domenico Arcuri, il cui impiego dovrebbe iniziare a febbraio. Altra ipotesi è quella di includere progressivamente nella campagna di vaccinazione medici di base e farmacie.
La questione, oltre a riguardare il personale, concerne anche gli spazi, come riferito dal commissario Domenico Arcuri alla testata ZetaLuiss: “L’elenco completo dei centri vaccinali designati per la somministrazione del vaccino è ancora in divenire, ragion per cui non si dispone ancora di un’elencazione dei centri vaccinali“.
Sebbene gli ospedali saranno i primi luoghi di somministrazione dei vaccini, la pressione ospedaliera e il corretto funzionamento dei diversi reparti rischia di paralizzarsi, soprattutto se dovessero continuare a crescere le ospedalizzazioni per i nuovi contagi, sottraendo così personale, e spazi, che potrebbe essere impiegato nelle vaccinazioni.
Di conseguenza, non è ipotizzabile accentrare le vaccinazioni unicamente nei presidi ospedalieri: queste andranno portate anche all’esterno, non solo nelle Primule dell’architetto Stefano Boeri, ma anche in palestre, palazzetti e impianti fieristici, che tuttavia presentano la criticità di non essere idonei, in molteplici casi, alle necessarie misure di igiene, sistemi di ventilazione e areazione degli spazi.