CAIVANO – Nel Comune gialloverde si sta consumando un pensiero, forse instillato dalla scarsa comunicazione del primo cittadino che se non si è attenti diventa molto pericoloso. Il pensiero di non criticare, di voler bene al primo cittadino e di aspettare – tempo non ancora definito da chi lo propone – per poter giudicare. Ma il controllo è fondamentale su un territorio e su quello alla periferia nord di Napoli c’è rimasto solo quello fatto dalle opposizioni, quelle ancora non conniventi col sistema, quelle ancora non fagocitate dalle lottizzazioni create ad hoc da vecchi marpioni della politica che si nascondono tra le quinte e quei pochi giornali, liberi ed indipendenti che raccolgono le istanze e le lamentele dei cittadini. Diffondere il principio che criticare voglia dire fare male alla città è di un’ignoranza abissale e lo dico principalmente a quelle persone che credono che la parola del Sindaco sia messa alla stregua di quella di nostro Signore. Instillare questo pensiero vuol dire promuovere il pensiero unico, quello che poi porta con molta facilità ai pieni poteri e quei pochi che hanno vissuto o studiato il famoso ventennio ne sanno qualcosa, poi quando si parla di riempirsi la bocca con i paroloni, i fascisti sono sempre gli altri e noi siamo gli anti… per eccellenza.
È vero che un giocatore non si giudica da un calcio di rigore come cantava De Gregori ma se il procuratore dell’attaccante mi promuove quell’attaccante come il nuovo Maradona e poi in tre mesi di campionato mi produce solo quattro autogol che mi fanno perdere 12 punti in classifica, avrò pure il diritto di bestemmiare cinese o nel nome dell’amor cittadino lasciamo passare tutto?
Ed è proprio quello che sta succedendo a Caivano, stavolta, dopo quattro mancanze molto gravi – Avvocato scelto dalla shortlist e si scopre che non c’era il suo nome, Sperpero di denaro pubblico sullo streaming della prima seduta di Consiglio, mancato Piano di Rientro del disavanzo di Bilancio e inconsapevolezza dell’esistenza dell’avvio di gara della Tesoreria – arriva la quinta, in termini ambientali. Tutti ricordiamo come i tifosi del Sindaco in campagna elettorale lo amavano apostrofare col termine di “ambientalista” e non perché evidentemente conoscevano la sua vena “green” ma solo perché ha militato per diversi anni nel partito dei “Verdi” dell’allora On. Pecoraro Scanio, personaggio politico molto caro al Sindaco caivanese. Bene. Stamattina i caivanesi, grazie anche all’inadeguatezza dell’Assessore grillino Pasquale Penza hanno potuto vedere con i propri occhi che di “green” nel pensiero della fascia tricolore non c’è assolutamente nulla.
Come nella passata amministrazione, quando furono potati/abbattuti gli alberi all’interno del recito del Plesso scolastico Rione Scotta, da ieri è partita la potatura degli alberi del Corso Umberto I. Un vero scempio, la famosa potatura a palo – così come i potatori la battezzarono all’epoca dei fatti della Scotta – è ritornata di moda. Praticamente gli alberi non sono stati potati ma sono stati martoriati, storpiati e in alcune parti tranciati. Non faccio il botanico ma ho la netta sensazione che più di un albero non si riprenderà mai più.
Ma c’è dell’altro. È talmente “green” la visione del Sindaco e dell’Assessore al ramo che in alcune parti del Corso, sui marciapiedi, al posto di ripiantare gli alberi che nel frattempo non esistevano più nelle apposite aiuole ai bordi della banchina, si è preferito colmare le aiuole e ripavimentarle con lo stesso porfido dei marciapiedi. Insomma un vero scempio dal punto di vista ambientale.
I caivanesi si sono svegliati con un Corso assolato e privo delle ombre prodotte dagli alberi e con la memoria corta dell’assessore pentastellato che già si è dimenticato delle lotte fatte dal suo gruppo politico all’epoca della potatura al Rione Scotta. Questa è la dimostrazione che in realtà quando la politica non funziona, specialmente nel suo ruolo di controllo, a queste latitudini nulla può cambiare, figuriamoci se lo possono fare le idee e i proclami che si fanno a mezzo social. Dice un antico detto napoletano: “Ce vò ‘a carna int”e ssasicce”.