Anno domini 2020. Ancora oggi pare si faccia fatica ad associare lo sport al concetto di cultura, a riconoscere il ruolo centrale dello sport mettendolo in relazione con la politica e la società.
Ma ecco che ci risiamo. Un uomo dall’altra parte del pianeta colpito alle spalle da 7 pallottole sparate da un agente di polizia di Kenosha in Winsconsin scuote le coscienze sociali di mezzo mondo.
Un episodio di così grande portata che non poteva prescindere da un’altra forma di espressione sociale così forte come lo sport.
Nel nome di Jacob Blake si ferma lo sport USA e noi, che facciamo, stiamo a guardare?
Certo che gli episodi che hanno investito ultimamente il mondo sportivo ed in particolare l’NBA non possono passare inosservati nemmeno nel mondo della pallacanestro nostrana.
La divulgazione inesorabilmente corre attraverso le reti, si estende in tutti gli ambiti, urta le sensibilità soprattutto dei giovani, quelli che portano sulle spalle il peso di un futuro poco chiaro. Un peso che investe gli umori e le coscienze di noi adulti, genitori e formatori di questo loro insicuro futuro che con le nostre responsabilità non possiamo sottrarci e far finta di niente ma abbiamo il dovere morale di farcene carico.
Sono tanti i mezzi di prevenzione da poter utilizzare per la diffusione di una cultura migliore, contro le disuguaglianze, il razzismo e le differenze sociali.
Buttando un occhio in casa nostra il mondo della pallacanestro riveste a pieni titoli un ruolo di protagonista che sfida i preconcetti e ne ribadisce i principi attraverso la pratica sportiva aggregata.
A guardarli da qui gli States sembrano così lontani ma oggi, dopo i discorsi antisemiti e la politica razzista perseguita da Trump, l’America ed il suo sport preferito, ricadendo nell’incubo del razzismo, trascinano con sé nell’assurdo baratro delle differenze sociali anche gli umori ed i preconcetti d’oltreoceano.
Non dimentichiamo che siamo italiani, cittadini di quel paese dove un ministro della Repubblica, per il colore della sua pelle, è stata reiteratamente insultata ed offesa senza nessuna conseguenza per i molestatori.
L’Italia, dove è lecito irritare dagli spalti il giocatore della squadra avversaria con i versi degli scimpanzè. Dove i social diventano spazi d’incontro per dare sfogo alle più assurde manifestazioni di disumanità, di antisemitismo, odio anti-musulmano, omofobia, transfobia, antiziganismo e afrofobia. Insomma, esiste un unico cordone di collegamento fra le persone interconnesso tra rete, le varie realtà associative, sportive, culturali, istituzionali ed il mondo che le circonda.
Spetta agli operatori di prima linea un compito duale nella loro quotidianità, uno per così dire tecnico-scientifico di ambito ed uno più nobile di tipo etico, ovvero preparare i giovani a reagire nella maniera più coerente di fronte agli innumerevoli segnali di discriminazione sociale che giungono attraverso ogni tipo di canale comunicativo e comportamentale.
Gli atleti rappresentano un modello sia all’interno della propria società sportiva che all’interno della comunità locale verso la quale si affacciano e si propongono al pubblico con le loro sfide sportive.
Ogni entità di tipo aggregativa territoriale ha una responsabilità morale alta. Deve rendere conto ai loro ragazzi ed alle rispettive famiglie che gli affidano i figli, dire forte e chiaro che certe cose sono sbagliate e che non vanno neppure tollerate. Si arriva a un punto in cui c’è l’obbligo di schierarsi.
Personalmente mi auguro e mi aspetto anche da parte delle realtà a me molto vicine un segnale forte, chiaro e continuativo verso questo annoso problema che investe ed espone i nostri giovani quotidianamente.
Mi attendo azioni decise per prevenire e combattere le diversità tutte, il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza ogni qualvolta i nostri eroi calpestano il parquet.
I nostri ragazzi meritano un futuro migliore e noi adulti siamo i responsabili diretti del loro successo o del loro fallimento. Buon anno sportivo a tutti.
R. LaB