“Tu sei come un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere già dove sei. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci a fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro” (Il colibrì, Sandro Veronesi)
Dopo il trionfo con “Caos calmo” nel 2006 per lo scrittore toscano è questa la seconda volta che riesce ad ottenere il rinomato premio letterario. Pubblicato dalla “Nave di Teseo” il suo romanzo “Il colibrì” segna così anche uno storico bis: ci era riuscito solo Paolo Volponi con La macchina mondiale nel 1965 e La strada per Roma nel 1991.
Il riconoscimento è arrivato ieri sera al Museo Etrusco di Villa Giulia conquistando 200 voti e battendo Gianrico Carofiglio con La misura del tempo (Einaudi), che si è fermato a 132 voti.
Quest’edizione, come era prevedibile, è stata un’edizione particolare, senza la folla chiassosa e animata ma con una diretta tv diventata sovrana e ben 75 minuti di assordante silenzio.
«Sto pensando alla mia famiglia, ai miei figli, a mia moglie, ai miei fratelli. Sto pensando al mio editore, a Elisabetta Sgarbi, a Umberto Eco che è stato così generoso da fondarla questa casa editrice. Sto pensando agli amici che mi hanno sostenuto, che hanno votato il libro. Sto pensando all’uomo nuovo, che poi è una donna. A tutte le persone nuove che ci sono e a tutte le navi in mare» ha detto Veronesi, dedicando il premio ai suoi affetti più cari.
Il romanzo parla del coraggio di restare fermi con una storia tutta raccontata in un libro dalla copertina gialla con al centro l’esile colibrì che, con una forza incredibile, riesce a stare fermo e immobile nell’aria. Il colibrì rappresenta il protagonista Marco Carrera ed è il soprannome datogli dalla madre perché era un bambino dall’esile figura e statura, un essere proporzionato e aggraziato nella sua piccolezza.
Ma a spegargli il reale senso del suo soprannome è la donna amata che in realtà non sarà mai realmente sua. Il loro è un amore sospeso nel tempo e nello spazio, entrambi sanno che l’uno è destinato all’altro ma ognuno ha la sua vita e così vivono in uno stato di perenne sospensione tra ciò che avrebbe potuto essere e ciò che potrebbe essere in futuro, forse però troppo incerto.
L’unico legame “stabile” è rappresentato dalle innumerevoli lettere che i due si scambiano ed è proprio in una di esse che Luisa gli spiega il senso reale del suo soprannome: perché come l’uccellino “metti tutta la tua energia per stare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Per fermare il tempo, anche per risalirlo e per trovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro“.
E’ questo il nocciolo del personaggio, che è poi allo stesso tempo l’essenza stessa del romanzo: la capacità di non cadere, di non precipitare in picchiata pur se la sua vita è un susseguirsi di accadimenti dolorosi e tragici.