Al momento il film più visto su Netflix è un film polacco. Dovrebbe essere un “capolavoro” vista la diffusione che ha avuto, ma le cose non stanno proprio così…
E’ infatti stato definito un “prodotto agghiacciante”, considerati i suoi contenuti. La storia sta avendo enorme successo non solo in Italia, ma anche in numerosissimi altri paesi come Germania, Austria, Grecia, India e Stati Uniti.
Si sarebbe così portati a credere che “365 giorni” sia un vero successo, soprattutto per l’Italia, il paese in cui la vicenda è ambientata, ma le cose non stanno proprio così, soprattutto se si conosce la sconvolgente storia che racconta.
Il film, di 114 minuti, è tratto da una trilogia di romanzi scritta da Blanka Lipińska, mai stata tradotta dal polacco ma è stato descritto, presentato e lanciato come “la risposta polacca a Cinquanta Sfumature di Grigio“.
“365 giorni” sarebbe così una versione più sessualmente esplicita del film di Sam Taylor-Johnson. Stessi beat di trama, stessi colpi di scena, stesse soluzioni narrative, il tutto inserito nella “splendida cornice” della nostra penisola e arricchito da un bel sottotesto misogino a base di sindrome di Stoccolma.
La storia è quella di Laura, una ragazza polacca di 29 anni, che fa un qualche lavoro di responsabilità. E’ una giovane piena di vita, una famelica carrierista intrappolata però in una noiosa vita di coppia con l’impresentabile Martin, un gigante pelato che vive per il lavoro e la trascura, costringendola a trovare il piacere sulla punta di un vibratore.
L’altro protagonista, Massimo è un boss mafioso di una non meglio specificata cittadina siciliana, che assomiglia stranamente a Sanremo, che, cinque anni prima, ha assistito impotente all’omicidio del padre per mano di una cosca rivale.
Questo l’ha reso un boss molto cattivo e spregevole, ed ha sviluppato una contorta passione che lo divora sopra ogni altra: quella per il sesso.
Durante i tragici momenti della morte del genitore, ebbe una visione: il volto di una donna bella e di successo e chiaramente polacca, che lo ossessiona da allora e alla ricerca della quale ha deciso di dedicare una fetta consistente della sua vita.
Laura sta per arrivare proprio in Sicilia per una vacanza con Martin e per “caso” Massimo si trova proprio in quello stesso posto quando Laura scende dall’aereo.
Quando la vede “capisce” che è lei la donna della sua vita e fa quello che “qualsiasi” uomo innamorato farebbe se si trovasse di fronte la donna dei suoi sogni: la rapisce e la chiude nella sua villa mafiosa, dove la terrà prigioniera per 365 giorni, al termine dei quali la libererà se e solo se non è riuscito a farla innamorare di lui.
Un film dunque che racconta di un rapimento, di violenza sessuale e del caso della sindrome di Stoccolma: quella rarissima condizione che si presenta in una percentuale inferiore al 5% delle persone rapite e che prevede che queste sviluppino sentimenti positivi nei confronti di coloro che le hanno rapite, fino ad innamorarsi dei rapitori e a non poter fare a meno di loro.
Una sorta di “Bella e la Bestia” moderno, rivisitato in versione per adulti ed “hot”. Ma quantomeno Belle finisce nel castello per caso e non perché la Bestia ha spedito i suoi scagnozzi con il cloroformio a prelevarla dalle stradine buie di una cittadina siciliana.
Il primo atto, con il rapimento, la fuga, il sequestro e la storia del boss nonchè assassino sembrerebbe quella di un thriller ma un dialogo tra i due ribalta la situazione: lui le giura che non alzerà un dito su di lei fino a che lei non sarà consenziente, tutto questo mentre le si struscia addosso e le palpa il seno. In una sequenza “erotica”, Laura inspiegabilmente seduce Massimo per poi lasciarlo a bocca asciutta. La rappresentazione prosegue poi con Massimo che ammanetta Laura al letto e la costringe ad assistere a un rapporto con un’altra ragazza.
Quello che non c’è è il consenso, e la cosa più agghiacciante è che l’intero impianto narrativo è dedicato a giustificare l’idea che sia possibile ottenerlo retroattivamente, che esista un mondo nel quale rapire una persona per convincerla ad amarti sia un comportamento accettabile e soprattutto che porta risultati apprezzabili.
Due giorni dopo essere stata rapita, molestata e quasi violentata da un mafioso, Laura decide che gli addominali di Massimo e la sua carta di credito sono motivi sufficienti per dimenticarsi quel piccolo malinteso del sedativo, delle manette, delle mani addosso, del ricatto sentimentale e degli omicidi, e comincia molto rapidamente a prendersi una cotta per il boss, che culmina in una bollente scena di sesso.
Il film diviene così la versione più “esplicita sessualmente” di “Cinquanta sfumature di grigio”, con una serie di scene erotiche che culminano in una sconvolgente dichiarazione di Laura: “non mi servono 365 giorni, io ti amo già“.
È tutto talmente sbagliato che il cervello si sforza di andare alla ricerca di un’interpretazione alternativa, di una lettura che non sia “questo film mi ha appena detto che se anestetizzo una femmina non consenziente e la rinchiudo in una villa lussuosa ordinandole di innamorarsi di me otterrò quello che voglio nel giro di pochi giorni”.
Incredibilmente o forse meglio, in modo a dir poco “sconvolgente”, protagonisti del film più visto degli ultimi tempi su Netflix sono quindi sessismo, violenza e misoginia. Dovrebbe esserci indignazione di fronte a certe modalità di pensiero, eppure attraverso questo film si è portati a crdere che qualunque mezzo è lecito in amore, anche il sequestro di persona e la violenza.