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Benetton e Stato ai ferri corti: niente più “vantaggi” per le Concessioni autostradali

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Sarà battaglia legale tra lo Stato e Atlantia, la società controllata dai Benetton che a sua volta controlla Autostrade per l’Italia. La vecchia politica non gli ha consegnato soltanto le chiavi di un patrimonio che appartiene a noi tutti, ma ha permesso di blindare legalmente il contratto.

E’ noto a tutti che dopo il crollo del ponte Morandi di Genova l’Esecutivo, e in particolar modo i 5 Stelle, dissero basta alla svendita della nostra rete viaria, sulla quale Autostrade per l’Italia porta a casa enormi utili mentre all’Erario restano briciole. Nel mirino la carenza delle manutenzioni.

Atlantia, infatti, che ha incassato miliardi di euro grazie a una concessione pubblica delle autostrade (ancora oggi inspiegabilmente vantaggiosa) farà causa al Governo che non ci sta a fare anche da garante ai prestiti miliardari che la società intende chiedere per far fronte alla riduzione del traffico durante il lockdown per il Covid.

Un braccio di ferro che ha dato al gestore autostradale il pretesto per cambiare nuovamente rotta dopo il crollo del ponte di Genova e l’azione avviata dall’Esecutivo Conte e dall’allora ministro Danilo Toninelli per revocare la concessione. Un contratto blindato ai tempi della prima Repubblica e consolidato negli anni successivi da una politica “stranamente” molto generosa con il contraente privato.

Così i Benetton ottennero dall’Anas condizioni straordinarie sulle tariffe e sugli investimenti, grazie alle quali hanno comprato successivamente le autostrade in Spagna, il tunnel sotto la Manica e investendo un po’ ovunque nel mondo.

Dopo aver rallentato la revoca imbastendo un processo infinito per i fatti di Genova, Atlantia aveva provato ad adulare il Governo, promettendo di entrare nella nuova Alitalia, prendendo così per il naso l’intero Paese.

Ma dopo il rifiuto da parte dei Cinque Stelle di un tale baratto, che tra l’altro, ha fatto perdere ad Alitalia quasi un anno di inutili trattative, ora ritorna la strada delle vie legali, accompagnata dalla ritorsione del blocco degli investimenti straordinari previsti, pari a oltre 14 miliardi, limitandosi solo alla manutenzione ordinaria e alle opere per la messa in sicurezza della rete.

Il lavoro necessariamente lento, ma efficace, per chiudere a vantaggio dello Stato il contenzioso nato dopo il disastro di Genova, arriva dunque a un punto di svolta. E per forzare la mano ai 5 Stelle, che hanno promesso di chiudere questo sistema che da decenni fa ricchi i privati e lascia allo Stato le briciole, una nuova offerta prevede progetti per 14,5 miliardi complessivi, di cui 2,9 offerti come forma di compensazione per l’incidente di Genova; 1,5 miliardi di investimenti e riduzione di tariffe per i pendolari; 700 milioni di ulteriori progetti sulla rete e altri 700 per la ricostruzione del ponte.

Troppo poco, o meglio quasi nulla, rispetto ai 43 morti del Morandi, ai 40 del viadotto di Avellino, a ciò che Benetton e soci guadagnano da decenni, e a quello che, lasciando le cose come stanno, guadagneranno ancora sulle tariffe dei caselli.

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A Napoli la celebrazione in memoria dei caduti di tutte le guerre

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Nella solennità di San Francesco di Paola, patrono della “Gente di Mare”, nella omonima Basilica Pontificia di Napoli, in piazza del Plebiscito, a Napoli, si è tenuta la celebrazione in memoria dei caduti di tutte le guerre, di terra, di cielo e del mare.

Numerosa la partecipazione di autorità civili e militari, tra cui il Viceprefetto di Napoli, Dario Annunziata, dell’Ammiraglio Ispettore della Marina Militare Pierpaolo Budri, del presidente dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia di Napoli Antonio Varriale.

È stata deposta una corona in memoria dei caduti a cura dell’Anmi, mentre il Presidente della Delegazione Provinciale dell’Oncsc Alfredo Migliaccio ha ribadito lo spirito di cooperazione tra le componenti associative d’arma, che rendono viva la memoria di chi ha combattuto per garantire la nostra stessa esistenza.

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Effetto dazi sulle Borse mondiali: “rischio di recessione per l’economia mondiale”

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I dazi di Trump “liberano l’America” ma fanno crollare i mercati, da Parigi (-3%) a Wall Street (-2,76%), con il Nasdaq in calo di oltre il 4%.

Milano lascia sul campo il 2,8%. Francoforte il 2%, Londra l’1,43%, favorita da tariffe più leggere rispetto agli altri Paesi, e Madrid l’1,23%. Il crollo del greggio (Wti -7% a 66,67 dollari al barile) e le tariffe commerciali sull’acciaio frenano Tenaris (-8,22%), Saipem (-6,86%), Prysmian (-5,08%), Antofagasta (-7,25%) e Anglo American (-6,44%).

“Le prospettive per l’export e l’impatto diretto e indiretto dei dazi sono un grosso motivo di preoccupazione“. Lo si legge nel resoconto (minute) della riunione della Bce del 5 e 6 marzo, che dà conto anche dei dubbi dei Governatori sul segnale da dare sui tassi d’interesse: i membri del Consiglio direttivo giudicavano “importante” che la comunicazione non dia un segnale in alcuna direzione in vista del meeting di aprile, “tenendo sul tavolo sia un taglio dei tassi che una pausa, in funzione dei dati in arrivo”.


(fonte: Ansa)

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Commercio, sempre più negozi cittadini e centri commericali chiudono con ricadute sull’occupazione

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Sempre più negozi cittadini chiudono con ricadute sull’occupazione.
Se ne apre uno, abbassano la serranda tre, secondo un noto sindacale nazionale di settore.
La crisi è stata acuita ultimamente dalle vendite on-line con consegna a domicilio, di questo passo si rischia che i centri urbani, senza più esercenti, diventino città-dormitori, più brutte, deserte e anche più pericolose.

“Assolutamente sì, è indispensabile un intervento dall’alto per fermare questa deriva che sta arricchendo sempre gli stessi colossi globali e impoverendo le economie locali. In Italia, il commercio fisico è stato lasciato senza strumenti per competere – dice Gaetano Graziano, Vicepresidente dell’associazione dei direttori dei centri commercialiAltri Paesi – continua – hanno capito il rischio e hanno agito: la Francia ha imposto una tassazione sui giganti del web per riequilibrare la concorrenza, la Germania ha investito nel supporto tecnologico ai negozi e il Regno Unito ha ridotto le imposte sugli esercizi commerciali per abbattere i costi di gestione. Nel nostro Paese, invece, non si è fatto nulla di tutto questo, con il risultato che le chiusure aumentano e i centri urbani si svuotano. Senza una strategia nazionale che includa sgravi fiscali, incentivi per la digitalizzazione e una regolamentazione più equa per l’e-commerce, il commercio locale sarà destinato a scomparire, con conseguenze gravissime sul PIL, sull’occupazione e sulla qualità della vita nelle nostre città.”

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