CAIVANO – Il livello politico di quel che è rimasto della classe dirigente caivanese è bassissimo e questo non lo scopriamo oggi. Gli addetti ai lavori, qui, nell’ultima città a nord di Napoli, sono privi di contenuti ed in un momento così delicato non perdono tempo a riempirsi, inconsapevolmente, di ridicolo.
Sono già 14gg che il popolo italiano sta subendo il provvedimento forzato di restare in quarantena per colpa del dannato Coronavirus. Una pandemia che ci è crollata addosso nel bel mezzo della campagna elettorale sia delle amministrative che delle regionali. In questi giorni dove la scienza fa a cazzotti con le cure da adottare e la politica, quella seria, brancola nel buio, non sapendo che tipo di provvedimenti adottare per tutelare la salute dei cittadini, i politici caivanesi, privi di una guida, perché al Comune ci sono tre commissari prefettizi che hanno deciso di chiudersi tra le quattro mura e non comunicare alla cittadinanza caivanese quali dispositivi si stanno adottando né se ci sono e quanti sono i casi positivi sul territorio, decidono di continuare a fare politica come sempre fatto, a colpi di post su Facebook, visto che i tweet già sarebbero troppo per alcuni cervelli bacati.
Gli addetti ai lavori di Caivano confondono il ruolo di politico con quello del giornalista. Oggi a Caivano non si sa cosa leggere, se organi di informazione locali o i post degli ex consiglieri comunali. Forse perché per troppo tempo i due ruoli hanno avuto una forte commistione, vista l’enorme quantità di articoli commissionati, attraverso blog e giornali cittadini. Evidentemente, data la penuria di ruoli e la mancanza di clientele che fanno accrescere sicuramente le entrate, ogni ex politico del territorio pensa bene di sfruttare i social per fare informazione in maniera autonoma. Ed è così che si riesce a svilire, ai minimi termini, il ruolo di politico sul territorio.
Fatta questa piccola premessa e tornando all’attualità, oggi sul social più famoso, troviamo post di ex Consiglieri che informano a che ora verrà fatta la sanificazione, quando verranno consegnate le mascherine, quanti casi di coronavirus ci sono stati sul territorio, quando mancherà l’acqua nelle case e la cosa più triste è che se magari qualcuno sbaglia a dare un’informazione o nell’usare la lingua italiana, comprensibile a pochi addetti ai lavori, lascia intendere qualcosa di sbagliato, si è assistiti ad un assalto verbale da parte di esponenti di gruppi politici opposti, manco si stesse parlando di adottare la pena di morte nel comune gialloverde. Ora ditemi voi se è questo è fare politica!?
Qui, il senso della politica si è perso molti anni fa. Quando le clientele, gli affari personali, le lobby del cemento e infine la criminalità organizzata hanno avuto la meglio sull’unico principio fondamentale della politica, ossia il bene collettivo.
Sarebbe bello che ognuno degli addetti ai lavori facesse un corso accelerato o leggesse qualche manifesto, qualsiasi esso sia – per manifesto intendo un programma politico o culturale elaborato e lanciato nell’ambito di gruppi per i quali una comune presa di coscienza ponga esigenze divulgative e propagandistiche e non il foglio di carta che si azzecca sui muri in maniera abusiva – capire veramente cosa sia fare politica sul proprio territorio.
Io personalmente e, credo, tanti caivanesi perbene, siamo stanchi di leggere veri e propri impresentabili, gente menzionata nella relazione di scioglimento che fino a ieri hanno campato con rapporti clientelari formatisi all’interno dei settori – lavori pubblici, politiche sociali e ambiente – che ha vinto la propria gara sull’incandidabilità per il rotto della cuffia e che con la propria candidatura potrebbe mettere in serio rischio l’amministrazione che verrà, scrivere su Facebook che ha sempre lavorato per il bene pubblico, che si è sempre mosso nel solco della legalità e contestualmente ammonire, con fare camorristico, chi magari tenta di mettersi in gioco per la prima volta e coltivare il sogno di risollevare la città dalle macerie.
Ma poi di quale solco della legalità stiamo parlando? Di quello creato, da commensale, al tavolo di pluripregiudicati della città e che la Commissione d’Accesso, la Prefettura, la Magistratura e il Ministero degli Interni hanno fatto finta di non vedere girando la faccia dall’altro lato?
A Caivano, una città di periferia di 36.000 abitanti, si conoscono tutti. Chi proprio non potrebbe parlare di politica lo fa perché la gente glielo concede, forse per timore, forse per sudditanza psicologica verso quel finto guappo – un po’ come avviene con don Carluccio in Totò il Turco napoletano – un po’ per quieto vivere e alla fine si finisce di svilire quel dibattito pubblico che tanto può far bene alla città.
Perciò quella parte sana dei caivanesi si aspetta che tutto questo cambi, ma principalmente si aspetta che in questi giorni così tristi e anomali, questi fenomeni da baraccone avessero almeno la decenza di stare zitti e fermi con i polpastrelli, facessero parlare solo chi è deputato a farlo e una volta ogni tanto vivessero secondo le proprie misure, quelli di cittadini normali con un basso quoziente intellettivo. Tanto si va a votare a Novembre, il tempo per riempire le piazze di chiacchiere inutili c’è, adesso restiamo in religioso silenzio e preghiamo Dio che tutto passi in fretta.