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SUPER BOWL 2020. I tifosi dei Kansas City Chiefs vi arrivano dopo 50 anni

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SUPER BOWL 2020. I tifosi dei Kansas City Chiefs vi arrivano dopo 50 anni

50 anni. Mezzo secolo. I Beatles componevano Let it Be, il Concorde eseguiva il suo volo inaugurale, mentre dall’Apollo 13 veniva lanciata la famosa frase “Houston, abbiamo un problema”. Ai campionati del Mondo del Messico Italia e Germania davano vita a quella che è stata poi definita la partita del secolo, Giacomo Agostini vinceva il suo Ottavo mondiale mentre John Wayne l’Oscar per Il Grinta. A Cellino San Marco Al Bano sposava Romina Power e il Cagliari vinceva il suo primo e unico scudetto. Questi e altri mille, gli avvenimenti accaduti nel 1970. Tra questi, un minuscolo spazio lo ritagliano i Kansas City Chiefs, che in quell’anno vincono, come il Cagliari di Gigi Riva, il loro primo e unico Superbowl.

Nonostante siano una franchigia meno famosa di “potenze” della palla ovale come i Dallas Cowboys, i Raiders (appena trasferitisi a Las Vegas) o i San Francisco 49ers, che domenica affronteranno nella finale di Miami, i Chiefs hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella storia del football. Fu grazie al loro fondatore Lamar Hunt (uno dei più grandi dirigenti sportivi di tutti i tempi: Fu lui a fondare, tra le altre, la lega Americana di calcio) che l’AFL, da lui fortemente voluta, e la NFL, si fusero dando vita all’attuale National Football League.

Ma non è di questo che volevo parlare. E nemmeno del fatto che Kansas City sia una bizzarria geografica, in quanto effettivamente si trovi nello stato del Missouri, un po’ come Novi Ligure che si trova in Piemonte.

Dove vorrà mai andare a parare allora, vi starete chiedendo. Presto detto: volevo parlare di cosa vuol dire secondo me essere tifosi. Pensate ai Fans di Kansas City: cinquant’anni senza un titolo. Eppure l’Arrowhead Stadium (eretto nel ’72 e completamente ristrutturato nel 2007, proprio come il San Paolo!) è sempre pieno e la Marea Rossa, come è chiamata la tifoseria di casa, non smette mai di sostenere i propri giocatori, tanto che più di una volta gli arbitri hanno minacciato di penalizzare i Chiefs se i tifosi non avessero limitato il frastuono, permettendo così al Quarterback avversario di far partire l’azione!

Poi penso ai tifosi del calcio in generale e agli Italiani in particolare. Tutto e subito. E su tutti i fronti. E facendo pure bel gioco. Se arrivi secondo o terzo la stagione è considerata fallimentare. Se non raggiunge la Champions l’allenatore viene esonerato. Sbaglierò, ma secondo me si è perso il senso e la misura. E’ vero che nello sport professionistico lo spirito Decoubertiano passa dalla tribuna d’onore ai popolari e che diritti televisivi e sponsorizzazioni hanno trasformato il “gioco” in uno stratosferico circo mediatico, ma l’essenza dovrebbe, ripeto, dovrebbe, rimanere pura.

E chi la dovrebbe mantenere tale? Da una parte le nuove generazioni di giocatori, a cui il fair play dovrebbe essere insegnato prima della diagonale difensiva, e dall’altra i tifosi, quelli veri, non i beceri che insultano l’avversario (e non ne faccio solo una questione raziale o di latitudine. Trovo ipocrita scandalizzarsi ai Buu verso i giocatori di colore e far finta di nulla se invece si fanno ipotesi variopinte sul mestiere della mamma di altri). Il tifoso. Quello vero, quello che esorta la sua squadra in ogni caso. Sempre. Da sempre. Per sempre, o per lo meno da cinquant’anni. Lui è la parte pura del gioco. Per referenze chiedere ai Kansas City Chiefs.

Full Fiorito

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