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Il silenzio di Stefano Caldoro. L’ex governatore campano ritenta la scalata a Palazzo Santa Lucia

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Sibilia, Carfagna, Mastella, Cirielli,. Tanti, troppi nomi per una poltrona. La più ambita in Campania, ovvero quella della Presidenza della Regione. Tutti profili legittimi, ci mancherebbe. Ma che non rappresentano la sintesi nel centrodestra. E mai la rappresenteranno. Un miscuglio di storie e correnti montato ad arte per obbligare i partiti a sedersi ad un tavolo e ragionare sul nome unico. Proprio ciò che finora non è accaduto. Il classico “papa straniero” in grado di mettere tutti d’accordo. Andiamo con ordine. Cosimo Sibilia, storico leader azzurro in Irpinia, è un deputato di Avellino ed è Presidente della Lega Nazionale Dilettanti.

Paga lo scotto di appartenere ad un territorio politicamente marginale nella scena campana, distante dall’area napoletana. Un dettaglio imprescindibile che elimina il valore aggiunto del candidato presidente. Andiamo avanti. Clemente Mastella. Lo conoscono pure le pietre. Ha ricoperto incarichi di rilievo nei governi Prodi e Berlusconi. La sua fuga in avanti verso Palazzo Santa Lucia resta un'”autocandidatura” che non scalda gli animi nel popolo di centrodestra. Non lo vuole praticamente nessuno. Un fallimento annunciato ancor prima di iniziare da parte del sindaco di Benevento. Un’operazione buona solo per restringere il campo delle alleanze. E degli elettori. Un usato insicuro e non garantito. Niente di più, niente di meno. Discorso simile per Edmondo Cirielli.

L’ex Presidente della Provincia di Salerno è l’identikit tracciato da Giorgia Meloni per la Campania. Un profilo che, pero’, non ha registrato grosse adesioni soprattutto dagli ambienti forzisti. Il senatore di Fratelli d’Italia, originario di Nocera Inferiore, appartiene allo stesso territorio di provenienza di De Luca. Dunque nel feudo della politica deluchiana da cui il governatore ripartirà per la riconferma. Un vero e proprio handicap ai nastri di partenza. Cirielli resta una candidatura di parte sul tavolo. Punto e a capo. Il nome più accreditato resta Mara Carfagna, fortemente sponsorizzata da Cesaro. Divenuta negli anni un profilo nazionale, la Vicepresidente della Camera nelle ultime settimane sta ricevendo un pressing asfissiante per scendere in campo. Secondo fonti parlamentari, la deputata azzurra non è convinta che il governo giallorosso duri a lungo. I banchi di prova del poltronificio Pd-M5S saranno l’Umbria, la Calabria e l’Emilia Romagna. Una bruciante sconfitta dell’asse giallorossa provocherebbe serie ripercussioni nel governo (e tanti argomenti nelle mani di Salvini).

Fino al voto anticipato. Dunque la Carfagna per ora resta in attesa degli sviluppi per sondare il terreno. Pure perché non ha mai smentito l’ipotesi di candidatura. A conferma che l’interesse è vivo ma resta da capire quale sarà il campo da gioco. Finita qui? Nemmeno per sogno. A pochi mesi dalle elezioni, il caos azzurro è grasso che cola per chi nutre sogni di gloria e di rilancio. Parliamo di Stefano Caldoro. L’ex Presidente della Regione Campania resta in silenzio a guardare. L’assenza di unità del centrodestra sulla leadership è un assist clamoroso. Ha battuto De Luca nel 2010 ed ha perso contro l’ex sindaco di Salerno nel 2015 per una manciata di voti. 66mila circa. Il fatto che si sia espresso a favore nei giorni scorsi della candidatura di Cirielli ne è una prova. Sostenere candidati marginali significa contribuire alla mancanza di unità, rompere con gli alleati. E quindi obbligare i partiti a ripuntare per forza di cose su di lui. Ovvero l’ultimo governatore a riportare il centrodestra alla vittoria negli ultimi 20 anni. Una strategia pianificata per ritornare centrale cavalcando i litigi altrui. Da Caldoro a Caldoro e nel mezzo tanti nomi gettati in pasto all’opinione pubblica. Un film già visto in assenza di candidati autorevoli. Buona la prima? Ai posteri l’ardua sentenza.

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