Cristina Donadio: “Il teatro ti spinge a cercare i tuoi demoni, il teatro fa male”
Cristina Donadio, napoletana, attrice con la A maiuscola, interprete teatrale, attrice di cinema ed in tv è una donna bellissima e colta.
Il suo eloquio fluente mi rivela una personalità spiccatissima ed una notevole capacità di autoanalisi. Insomma, avrei parlato con lei per ore.
di Monica Cartia
Cristina, quando sei nata attrice?
Credo che attrice si nasca molto prima di quando poi se ne abbia la consapevolezza. Io appartengo ad una famiglia numerosa e molto accogliente, a Natale ci riunivamo a casa dei nonni e mio nonno aveva l’abitudine di far esibire tutti noi nipoti su un enorme tavolo da cucina di legno. Poi ci regalava una moneta d’argento di 500 lire, non so se la ricordi. Quello fu il mio primo palcoscenico ed ero quella che non voleva mai scenderne, per la mia voglia innata di essere guardata. Mia madre mi diceva “non fare la pagliaccia”, che poi è un sinonimo di attrice.
E poi cosa accadde?
Il primo incontro importante fu con Nino Taranto e la sua compagnia, che mi videro recitare in uno spettacolo con il mio amico Geppy Gleijeses; eravamo ad Ischia e Nino Taranto mi propose di entrare nella sua compagnia.
Hai avuto un pigmalione di tutto rispetto!
Sicuramente, perchè in quella compagnia recitavano Dolores Palumbo e Carlo Croccolo e la mia scuola è stata quella di rubare dietro le quinte tutto quello che vedevo. Subito dopo sono entrata nella compagnia di Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice, c’era anche Gianni Agus: grandi attori che mi hanno insegnato il mestiere del palcoscenico. Così è iniziata la mia avventura a teatro, poi sono venute altre cose, cinema e televisione. Dopo circa dieci anni un altro incontro decisivo: quello con Enzo Moscato che mi ha fatto capire che cosa è il teatro per me. Ho assunto la consapevolezza di me stessa perché il teatro è qualcosa che ti mette in contatto con la tua parte più nascosta, è conoscenza di sé. Il teatro ti spinge anche a cercare i tuoi demoni, ad estrarli senza paura, il teatro non è consolatorio, il teatro fa male. Per raccontare una storia bisogna conoscersi profondamente, è un lavoro di introspezione in se stessi perché tra il personaggio e l’attore ci deve essere un attraversamento profondo e reale. Noi siamo dei falsi autentici.
Ami moltissimo il teatro, Cristina.
Senza il teatro non potrei vivere, è nel mio destino, fa parte di me. Mi piace molto anche fare cinema e televisione perchè trovo che cambia solo lo sguardo del pubblico sull’attore. Ingoiare un personaggio, farlo a pezzi fino a che non è più un personaggio ma sei tu stessa è la mia modalità. Io non potrei mai dire “interpreto una donna..”, io dico “io sono una donna”. Ad esempio io non interpreto Scianèl, io sono Scianèl.
Ecco, come hai potuto dare vita ad un personaggio straordinario come lei?
Quando mi hanno parlato di lei, era solo un’idea, io l’ho fatta diventare sguardo, andatura, spavalderia, l’ho costruita. Se mi fossi ispirata ad una camorrista l’avrei resa un personaggio piccolo piccolo, invece l’ho considerata un archetipo del male, una Lady Macbeth, una Clitemnestra, perché solo in questo modo avrei potuto darle una profondità che il personaggio meritava. Questo è l’involucro, poi l’ho “mangiata”, è diventata il mio sangue, il mio sudore, il mio sguardo ed ho potuto giocare sui dettagli. Lei è una fumatrice incallita, una giocatrice di poker che lavora molto con i polpastrelli perché i suoi due sensi più sviluppati sono il tatto e la vista. Lei è una donna di potere, ha una mentalità maschile, vuole il potere e basta. Scianèl è entrata con successo nell’immaginario collettivo proprio per questa riuscita trasfigurazione. Spesso mi incontrano e mi dicono “come sei bella, ma ti hanno invecchiato per diventare Scianèl?”. In verità mi hanno solo truccato in modo volgare, ma è merito della trasfigurazione, perché io sono diventata Scianèl, mostruosa com’è ed è la mostruosità della sua anima. Ho assunto il suo modo di camminare, al tempo stesso spavaldo ed ingobbito perché è una donna sempre chiusa in se stessa.
Io credo che tu abbia fatto un capolavoro nel dar vita a Scianèl.
Grazie Monica, ma è l’amore che ho per il mio lavoro: convivi con l’idea di aver a che fare con una persona che è altro da te e che poi diventa parte di te. Poi una mattina apri la sceneggiatura che era lì da giorni, leggi la parte ad alta voce e ti accorgi che non sei più tu ma è Scianèl.
Cristina, che cosa stai facendo di bello in questo periodo?
Ho due appuntamenti teatrali importanti per la prossima stagione: FESTA AL CELESTE E NUBILE SANTUARIO con la regia di Enzo Moscato prodotto dal Teatro Stabile di Napoli e LA CHUNGA, un testo di Mario Vargas Llosa con la regia di Pappi Corsicato. Sono anche molto fiera dell’invito che ho ricevuto dal più grande festival di musica antica del mondo che si tiene ad Utrecht; quest’anno dedica un focus a Napoli e mi hanno invitata come story teller di cinque anime di Napoli.
A proposito, che rapporto hai con Napoli?
Napoli alimenta ogni giorno una parte della mia anima, ho avuto la fortuna di nascere a Posillipo dove ancora vivo. Mi addormento e mi sveglio con il rumore del mare che nutre l’anima anche nei giorni di violenta tempesta. Ed è tutta energia vitale per me. Napoli è incantamento e incazzatura, è una città talmente forte, ricca, contraddittoria che ti tiene incatenata nella grande bellezza e nell’orribile.
L’ultima domanda è lapidaria: sei innamorata?
Sì, certo. Ho sempre messo al primo posto l’amore, la vita. L’amore per il mio uomo attuale, per mio figlio e per i miei nipoti perché sono nonna e spero di diventare spero bisnonna.
Grazie immensamente, straordinaria Cristina Donadio.
Foto di Riccardo Piccirillo