Gianni Parisi, da San Giorgio a Cremano, grande attore di teatro, è uno dei protagonisti in Gomorra 4 nel ruolo di don Gerlando Levante, zio di Genny Savastano.
di Monica Cartia.
Gianni, quando sei nato attore?
Premetto che a casa mia si è sempre parlato di teatro. Avevo dieci anni, una delle tre sorelle di mia madre, donna impegnatissima nel sociale nell’Azione Cattolica, un bel giorno all’Oratorio disse: “proviamo a fare una commedia!” La parrocchia con il tempo divenne stretta, molti di noi erano minorenni, qualcuno fece allora da garante, fu affittato un garage e così nacque il famoso CENTRO TEATRO SPAZIO. Esiste ancora oggi. Eravamo all’inizio degli anni Settanta, un periodo di straordinario fervore artistico, erano gli anni dell’impegno a tutti i livelli.
Poi, come è andata avanti la tua carriera?
Ho lavorato molto in teatro, ho avuto la fortuna di lavorare in compagnia con mostri sacri come Nino Taranto, un gran signore del palcoscenico, con suo fratello Carlo, con Enzo Cannavaro ed Ugo D’Alessio. Poi mi sono laureato attore quando ebbi l’opportunità di lavorare con due giganti: Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice. Tieri mi ha ridisegnato lo stare in scena, è stato il mio modello, senza di loro non sarei diventato il piccolo attore che oggi sono.
Hai conosciuto il tuo illustre concittadino, Massimo Troisi?
Certamente, con Massimo ci siamo sempre sentiti. A volte mi chiese di collaborare con lui per procurargli degli attori. Ricordo che per SCUSATE IL RITARDO gli presentai la grande attrice napoletana Olimpia Di Maio: lei mi ha sempre ringraziato di averle fatto conoscere Massimo Troisi e Massimo mi fu grato per avergli presentato Olimpia. Oggi sono in contatto continuo con Rosaria, la sorella di Massimo. In Gomorra 4 interpreti il ruolo del boss Don Gerlando Levante, zio di Genny Savastano. Don Levante è riuscito ad irrompere nella rosa dei personaggi con eccezionale intensità, acquisendo da subito un ruolo di spicco nella narrazione filmica.
Come sei riuscito a dar vita a questo personaggio?
Ti confesso che qualche anno fa mi proposero di interpretare un altro ruolo che fu poi affidato ad un altro grande attore. Ti dirò che quel ruolo non mi attirava granchè; invece mi è piaciuto subito don Gerlando, un rude uomo di campagna che nella sua spietatezza conserva una propria morale e dei sentimenti. L’ho costruito lavorando per sottrazione, ho fatto meno di quello che era scritto nel copione: non doveva essere un personaggio di tante parole, doveva parlare attraverso azioni, gesti e sguardi. Credo sia stata la strada giusta, è venuto come lo volevo io: testardo, semplice, legato alla famiglia. Sapevo che mi sarei giocato molto con questo ruolo e che don Levante non era un personaggio semplice, era facilmente banalizzabile. Ho studiato molto ed ora lo rifarei tale e quale.
Mi ha colpito molto una scena ricca di pathos, in cui sei con tuo figlio Michelangelo.
Hai colto nel segno, Monica. Quella scena è stata diretta dallo straordinario Marco D’Amore e l’ho girata – su suo suggerimento – dopo aver bevuto del vino rosso. “In questa scena ti voglio senza difese”, mi ha detto, ed è stato proprio così, mi sono sentito me stesso completamente.
Gianni, che rapporto hai con Napoli?
La adoro, è una città che rappresenta nello stesso tempo vita, morte, odio e amore. Napoli sa essere tutto ma i napoletani sono molto ingrati, non vi si riconoscono e non ne riconoscono la grandezza. Io ho a cuore una poesia bellissima e significativa, Campanilismo scritta da Raffaele Viviani – me la recita tutta, verso dopo verso, n.d.r –, i suoi versi parlano chiaro “Campanilismo bello, addò si’ ghiuto? Facimmolo nuie pure comme a ll’ate”. Ecco, io detesto il malcontento dei napoletani, le loro continue lamentele. Persino nel calcio. Io sono tifosissimo del Napoli, amo profondamente la mia squadra e quando ero ragazzino e andavo allo stadio mi emozionavo davanti al manto verde perché all’epoca non c’era la tv a colori. Oggi stiamo vivendo un momento importante calcisticamente parlando, ma anche qui critiche e malcontento. Di questo sono profondamente dispiaciuto. Facciamo vedere le cose belle di Napoli. La nostra musica è internazionale, le nostre canzoni non hanno bisogno di traduzione, in Giappone c’è il museo della canzone napoletana. Napoli è una città palcoscenico, recitiamo nelle strade, facciamo spettacoli per i turisti come avviene a Londra con i musical. Abbiamo un repertorio musicale che tutto il mondo conosce e ci invidia! Abbiamo bellezze artistiche incomparabili, Napoli è un museo a cielo aperto. Per non parlare della bellezza dei paesaggi, dalla costiera alle isole.
Per non parlare delle polemiche su Gomorra. Che ne pensi?
Sono polemiche sciocche, in altri Paesi ciò non accade. Gomorra non è un documentario, è dichiaratamente una finzione, non capisco cosa ci sia da offendersi. E’ un prodotto che vende moltissimo all’estero, è la più vista di sempre: 180 Paesi. Se io fossi un imprenditore farei il villaggio di Gomorra come quello di Harry Potter a Londra: per vederlo bisogna prenotare sei mesi prima. Perché non fare la stessa cosa con Gomorra a Scampia magari?
So che hai conosciuto il grande Eduardo…
Sì, andai a casa sua, a Posillipo. Il figlio Luca mi disse: “Vieni, ti presento papà”. Io mi sentii mancare per l’emozione, lo ricordo con la sua tipica aria da finto burbero. Lo adoravo e lo adoro.
Gianni, progetti futuri?
In uscita un film di Fabio Massa, giovane e promettente regista, si intitola MAI PER SEMPRE. Poi un film che tratta in chiave ironica il problema della Terra dei Fuochi dal titolo AMEN. Ed altre cose interessanti. Ho sempre avuto la fortuna di lavorare molto.
Grazie, don Gianni Parisi.