AFRAGOLA – Sono andato alla nuova stazione. Bella… anzi bellissima: l’occasione è stata il ritorno nella terra natia di un mio amico d’infanzia, Espedito. Era emigrato giovane prima al nord e poi dopo la crisi energetica degli anni ‘70 se ne era andato in Germania.
Ora stava in pensione da tempo e si godeva, tra un acciacco ed un altro, qualche viaggio. Che emozione, dopo tanti anni rivederlo!!! “Paisà fratello mio, stong cò finalmente” era sceso dal treno e mi aveva salutato con affetto, in uno “slang” a metà tra afragolese stretto e tedesco.
Era estasiato e orgoglioso di questo gioiello dell’architettura, ammirato da questo “gigante” che prendeva sempre più forma e consistenza.
Usciti sul piazzale poi si è fermato all’improvviso: “Lino, ma cò nun c stà manc o cazz”!
Espedito aveva colto in un secondo lo stato d’animo di quanti arrivano (attraverso impervie strade) alla stazione del futuro: spaesati di fronte a tanta bellezza architettonica, ma ammutoliti di fronte all’assenza di qualsivoglia opera di supporto, servizio o quant’altro. Zero: nemmeno una strada; nemmeno un bus, follia parlare di taxi! Segnaletica da Burundi (con tutto il rispetto per il Burundi).
“Sient lino, ma perché tutta sta desolazione?”.. “caro Espedito che dirti qui abbiamo gli “scienziati” che pensano che basta un cavalcavia per risolvere tutto… che pensano che il Paese dell’aglio e cipolla possa da solo risolvere ogni problema… e poi l’uoss nunn o vonn mullò negozi, concessioni intanto quando piove tutto si allaga ed è un miracolo arrivare”.
A questa mia considerazione Espedito, si rabbuiò: “nun è cagnat nient, terra mia, nun è cagnat nient” e ce ne siamo andati alla “Gnoccolata” felici almeno di esserci rivisti.